Nel Regno Unito la strana contesa tra Starmer e Farage

Una società, quando vive momenti di profonda difficoltà, può cedere alla tentazione di dare ascolto alle lusinghe di chi offre facili soluzioni ai problemi della vita comune, o, comunque, vie nuove per risolvere problemi vecchi. In Italia è successo molte volte; ora pare essere il tempo del Regno Unito.
Recenti sondaggi su chi possa essere considerato il miglior primo ministro per il paese mostrano una lotta serrata tra l’attuale inquilino del n° 10 di Downing Street, il laburista Keir Starmer (al 19%) e il leader dello Reform Uk Party, Nigel Farage, che lo sopravanza con il 20%; con Kemi Badenoch (nuova leader dei conservatori) ed Ed Davey (a capo dei liberal-democratici) al 9% e all’8%.
Our latest voting intention poll (2-3 Feb) has Reform UK in front for the first time, although the 1pt lead is within the margin of error.
— YouGov (@YouGov) February 3, 2025
Ref: 25% (+2 from 26-27 Jan)
Lab: 24% (-3)
Con: 21% (-1)
Lib Dem: 14% (=)
Green: 9% (=)
SNP: 3% (=) pic.twitter.com/eerJuTozLI
Pare che solo la metà degli elettori che diedero il supporto ai laburisti nel luglio scorso (50%) affermi che lo rifarebbe, non avendo stimato l’attività di Starmer in questi mesi, anche se pochi (tra il 2 e l’8%) opterebbero per l’alternativa data dai leader degli altri partiti, esistendo, invece, una parte rilevante dell’elettorato laburista (il 34%) che si limita a esprimere il proprio smarrimento con un «no so».
Farage, al contrario, dispone del sostegno schiacciante dei suoi elettori: l’81% di essi afferma che lo sosterrebbe in caso di elezioni politiche, mentre un 15% del suo potenziale elettorato pare indeciso e solo il 3% circa, pur apprezzandone il messaggio, non lo ritiene adatto alla guida del paese. Il leader del Reform Party, inoltre, sta trovando il sostegno del 24% degli elettori tradizionalmente conservatori, avendo Kemi Badenoch il favore del 32%, della sua base, mentre il 41% degli elettori tory appare indeciso. L’elettorato liberal-democratico, a sua volta, appare diviso tra il sostegno diretto al leader, Ed Davey, (per circa il 30%), e, per il 22%, un nuovo voto a Starmer, come fatto nel luglio scorso, vedendo nei laburisti una soluzione migliore rispetto al potenziale pericolo costituito da Farage a Downing Street.
Reform UK leading in the polls has become global news!🌍 pic.twitter.com/8wzmjkaKnb
— Nigel Farage MP (@Nigel_Farage) February 4, 2025
L’importanza di questi dati pare duplice. In primo luogo, essi dimostrano come il paese continui a essere travagliato da una crisi generale di difficile soluzione. L’economia, abbiamo detto più volte, è in difficoltà, con inflazione e indebitamento aumentati. Il Regno Unito vive in una condizione di isolamento politico sostanziale: l’idea di edificare una Global Britain, avanzata dai sostenitori della Brexit (tra cui Farage stesso, per altro), è naufragata nella complessità di un mondo multipolare che sembra mal digerire le ambizioni di una potenza che è stata in passato un grande impero ma che, ora, appare, al più una media potenza.
Le scelte politiche internazionali adottate, tra cui una forte collocazione anti-russa e il tentativo sempre più complicato di accreditarsi come alleato speciale degli Usa, inoltre, hanno danneggiato più che avvantaggiato Londra.
With our Plan for Change, my Labour government will make this country work for you once again. pic.twitter.com/wwNEIeSGYs
— Keir Starmer (@Keir_Starmer) January 18, 2025
In secondo luogo, sembra che in questo momento il Regno Unito stia vivendo una fase di transizione politica significativa. Se dalla crisi di metà Ottocento nacquero i partiti tory e liberale; se questi ultimi furono sostituiti dai laburisti nell’elettorato progressista negli anni Venti del Novecento, viene da domandarsi se presto una nuova formazione come il Reform Party potrà subentrare ai tory, in grave crisi di identità dopo i quattordici anni di governo.
Ma, soprattutto, il quesito è se Farage, abile a demolire l’esistente, possa davvero accreditarsi come un primo ministro capace di edificare qualcosa di nuovo. Potrebbe non bastare essere un buon conoscente di Trump, dei repubblicani statunitensi o di Musk: per rialzare un paese da una crisi servono programmi.
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