Elezioni comunali, il mini-test elettorale fa riflettere i due poli

Non ha torto Elly Schlein di complimentarsi con se stessa per i risultati delle amministrative di domenica e lunedì. Lei insegue «testardamente» l’alleanza con tutte le forze della sinistra e può dimostrare, numeri alla mano, che quando si cammina insieme, si vince. E può portare Genova a simbolo di questa logica politica: Genova che fu perduta per le divisioni del centrosinistra otto anni fa, torna alla sinistra addirittura già al primo turno. La stessa che non è riuscita poco tempo fa a riconquistare la Regione – nonostante lo scandalo della giunta Toti di centrodestra – ancora una volta per i litigi tra i partiti dell’ex «campo largo».
Stessa cosa si può dire di Ravenna, anche se lì c’è certa continuità politica a vantaggio della sinistra. Portando il ragionamento su Matera e Taranto, si può ipotizzare che i candidati del PD che oggi sono in vantaggio sul centrodestra ma vanno comunque al ballottaggio, avrebbero forse strappato la vittoria da subito se avessero avuto l’alleanza con i grillini locali che invece si sono presentati da soli. Quindi queste elezioni riportano in primo piano, e ha ragione la segretaria del PD a rivendicarlo a se stessa, la necessità della costruzione di una coalizione in grado di rappresentare un’alternativa alla destra di governo. Con quale programma (pensiamo solo alla politica estera: Ucraina, Palestina, riarmo europeo...) e soprattutto con quale leader e/o candidato premier è tutto da vedersi.
Ma nonostante le tante difficoltà resta il fatto che se la Gauche nostrana vuole detronizzare Giorgia Meloni deve convincersi a marciare a braccetto. Ci proverà coi referendum di giugno, voluti soprattutto dalla Cgil di Landini ma che sono nello stesso tempo un test affrontato insieme volontariamente da Pd, M5S e AVS. Ci proverà persino con l’organizzazione di un’unica manifestazione nazionale pro-Palestina e anti-Netanyahu se riuscirà a scrivere insieme una motivazione. Certo, più si saldano queste alleanze, più Schlein porta il PD verso sinistra e mette ai margini la sua minoranza interna di riformisti, quelli per capirci che a Bruxelles hanno votato a favore del piano di riarmo europeo (i fedeli della segretaria si sono astenuti) e non ci stanno a parlare di «genocidio» a Gaza. Però in qualche modo la strada è obbligata, come ricorda Matteo Renzi nell’attuale veste di «unificatore».
Quanto al centrodestra, la battuta d’arresto c’è e si vede. Senza voler sopravvalutare un test amministrativo molto parziale con città importanti sì ma non decisive, tuttavia emerge piano piano una dinamica politica che incrina i trionfali sondaggi che vorrebbero la destra meloniana con il vento indiscutibilmente in poppa. C’è di mezzo il logorio del governo – che vale per chiunque – ma pesano anche le divisioni tra alleati, soprattutto per via delle posizioni ogni giorno discordanti di Matteo Salvini – e non sarà un caso che nelle città dove il centrodestra va male, abbiamo visto da una parte i candidati di Fratelli d’Italia e di Forza Italia, e dall’altra quelli della Lega. Presto si voterà alle regionali, e in regioni importanti. Vedremo come si comporterà l’attuale maggioranza al governo.
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