Cicerone alla maturità, un testo di media difficoltà ricco di spunti

Il compito di latino assegnato ai maturandi dei licei Classici di tutta Italia era ricavato dal dialogo «Laelius de amicitia» di Cicerone. Si tratta di un breve trattato scritto nel 44 a.C. ma ambientato quasi un secolo prima, all’epoca in cui dialogavano amici che erano politici e intellettuali quali Scipione Emiliano e Gaio Lelio, detto sapiens, il saggio. È proprio Lelio a esprimere nel testo le considerazioni sul valore dell’amicizia che sono state oggetto del compito assegnato.
La struttura di questa prova d’esame nasce dall’esperienza maturata nelle Olimpiadi delle lingue classiche (ora chiamate Campionati) nelle quali si è sperimentata la formula di assegnare un Pre-Testo (una sorta di anticipazione in latino con versione italiana), seguito dal Testo vero e proprio da tradurre, poi da un Post-Testo sempre bilingue e da tre quesiti di interpretazione. Il tutto nell’ottica didatticamente apprezzabile di favorire la contestualizzazione, cioè di far capire a chi deve tradurre di che cosa si stia trattando e di chi si stia parlando. Cioè: prima bisogna comprendere e poi tradurre, cosa che non sempre avviene se non si contestualizza e si procede inseguendo il senso di una frase dopo l’altra.

Detto questo, diciamo subito che il brano è famoso, scolasticamente molto frequentato: numerose sono le classi liceali che l’avevano almeno parzialmente tradotto, o studiando l’autore o come brano di versione. Cicerone è considerato uno scrittore abbastanza facile, prevedibile nelle sue strutture sintattiche, e così si è rivelato anche questo testo, sostanzialmente lineare nel suo svolgersi. Tuttavia non mancava qualche difficoltà, come poteva essere il far dipendere l’interrogativa indiretta «quantum… habitura» dal sostantivo cogitatione: «Il calcolo di quanta utilità quella cosa (cioè l’amicizia) avrebbe avuto». A volte poteva nascere incertezza nel rendere il valore lessicale di alcuni termini (questo era anche l’oggetto del secondo quesito di analisi linguistica): per esempio il verbo «adpareat» che nella consecutiva non voleva dire «appare, sembra», ma «risulta evidente», oppure l’ablativo «moribus» che era bene tradurre non con gli immancabili «costumi» di altra epoca, ma con «carattere, comportamenti».
A proposito delle tre domande finali, la prima chiedeva di ripercorrere le tappe della condanna dell’amicizia utilitaristica: qui si poteva sottolineare l’abbondanza di termini legati all’amore vero, all’onestà, alla virtù, cioè ai valori dei quali si sostanzia l’amicizia per Cicerone. Della seconda domanda s’è detto; della terza, che chiedeva di mostrare personaggi letterari legati da vincoli di amicizia, osserviamo che la scelta era veramente ricca a partire dall’antichità, e offriva ai candidati la possibilità di far apprezzare le loro conoscenze letterarie. Tra i tanti esempi di ogni epoca, si poteva partire da Achille e Patroclo ma, per restare in ambito latino, si poteva parlare di Eurialo e Niso dell’Eneide, o di molti altri personaggi ancora.
Complessivamente si tratta di un bel testo per le implicazioni filosofiche e morali contenute, di difficoltà media come traduzione, completato da quesiti semplici e accattivanti.
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