Per l’Eliseo ora la destra francese pensa a Jordan Bardella

Piano B, B come Bardella. Tra i ranghi del Rassemblement National, racconta la stampa francese, nessuno osa nominarlo: evocare l’ipotesi che a concorrere per l’Eliseo nel 2027 sia Jordan Bardella, il giovane presidente del partito, significherebbe arrendersi alla sentenza che il 31 marzo ha condannato Marine Le Pen a cinque anni di ineleggibilità con effetto immediato.
«Jordan Bardella è una risorsa formidabile per il partito – ha dichiarato dopo la pronuncia la tre volte candidata alle presidenziali –, ma spero che non dovremo farne uso prima del necessario. Non permetterò che mi eliminino così».
Eppure, è la stessa Le Pen a riconoscere che quella che ora porta al «piano A» è una «strada stretta»: se anche la Corte d’appello di Parigi riuscisse a emettere la sentenza di secondo grado «nell’estate del 2026», intenzione dichiarata dagli stessi giudici, è alto il rischio che questa confermi la condanna. Perché allora non puntare subito sul «piano B»?
Bardella, 29 anni, è saldamente sul podio delle personalità politiche preferite dai francesi nei sondaggi. Non solo: il fatto che si tratti di un «volto nuovo» e che porti un cognome diverso da quello – ingombrante – di Jean-Marie Le Pen, padre dell’estrema destra francese, potrebbe aiutare a completare l’opera che Marine porta avanti a fatica da quando ha preso in mano le redini della formazione: traghettare il Rassemblement National verso una destra moderna, di governo, lontana – almeno nell’immagine che vuole proiettare di sé – dal «partito-famiglia» intriso di razzismo, antisemitismo e omofobia che è stato il Fronte.
Ma la giovane età di Bardella significa anche inesperienza, un limite che è già emerso durante la campagna per le ultime elezioni europee. La strategia del partito in vista del 2027 – e, prima, della sentenza d’appello – sembra allora questa: tenere sul tavolo finché possibile la carta Le Pen e nel frattempo, dietro le quinte, preparare Bardella per l’eventuale «piano B» senza però esporlo più del necessario.
« Soyons fermes, purs et fidèles : au bout de nos peines, il y a la plus grande gloire du monde : celle des hommes qui n’ont jamais cédé. » Ainsi parlait le Général de Gaulle.
— Jordan Bardella (@J_Bardella) April 6, 2025
Alors face à l'injustice, ne cédons rien : je compte sur vous ! #SauvonsLaDémocratie pic.twitter.com/mOv3bne5Kn
Chiunque sarà il cavallo da corsa, quel che è certo è che l’«affaire Le Pen» dominerà il dibattito pre-elettorale, come già sta accadendo: il Rassemblement National è già partito all’attacco della cosiddetta «dittatura dei giudici» e alcuni membri iniziano a porre sul tavolo la questione di una riforma della magistratura.
Colpisce, però, che tra gli avversari gli unici a rispondere con forza difendendo l’indipendenza della giustizia siano stati i socialisti e gli ecologisti. Più a sinistra, Jean-Luc Mélenchon ha contestato l’applicazione immediata dell’ineleggibilità, sottolineando che «la decisione di destituire un rappresentante eletto dovrebbe essere in mano al popolo».
Una prudenza che ha a che fare con i trascorsi del leader della France Insoumise, anche lui coinvolto in indagini sui finanziamenti del partito e in un processo – «politico», a suo dire – per intimidazione a pubblico ufficiale.
Timida anche la reazione dei Républicains, che il ritornello del «complotto dei giudici» l’hanno intonato diverse volte in occasione dei processi che hanno coinvolto Nicolas Sarkozy. E poi c’è il primo ministro centrista François Bayrou, che si è detto «turbato» dalla condanna. Anche qui, parlano gli interessi personali e di partito: anche lui è finito a processo per appropriazione indebita di fondi europei e attende l’appello dopo il ricorso della procura contro l’assoluzione in primo grado. Ma, soprattutto, parla l’istinto di sopravvivenza: il governo Bayrou resta in piedi finché il Rassemblement National non vota una mozione di sfiducia. Guai, allora, a indispettire Marine con una parola di troppo.
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