Liguria chiama Italia, avanza il campo largo

A livello periferico si può cercare un accordo, anche minimo, ma quando si tratterà di offrire al Paese una coalizione per le politiche si dovrà tener conto che in politica estera i partiti parlano lingue diverse
Antonio Conte ed Elly Schlein - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Antonio Conte ed Elly Schlein - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Col passo indietro (voluto da Conte) del candidato pentastellato Pirondini, anche la Liguria ha il suo «campo largo» con un aspirante presidente di regione del Pd, Andrea Orlando. A dirla tutta, se in Umbria ed Emilia-Romagna la coalizione va dal Movimento 5 stelle ai centristi, in Liguria c’è ancora qualche incertezza su Azione e Italia viva, ma si tratta di ultime schermaglie prima dell’intesa.

Questo allargamento dei «campi» a sinistra rende l’opposizione unita e competitiva nelle tre regioni, due delle quali sono oggi governate dalla destra. L’occasione, perciò, è ghiotta: la Schlein può approfittarne per conquistare un altro successo dopo quello del Pd alle europee.

I problemi, però, sono due. Il primo è rappresentato dalla natura locale delle intese. A livello periferico si può cercare un accordo, anche minimo, ma quando si tratterà di offrire al Paese una coalizione da Conte a Calenda per le politiche (sempre che sia fattibile) si dovrà tener conto che in politica estera il M5s e Avs parlano una lingua diversa da quella di Pd, Azione, Iv e Più Europa; che sulla giustizia i centristi la pensano diversamente dai futuri possibili alleati; che in campo economico e sociale (per esempio sul Jobs Act) ci sono differenze non marginali fra i partiti.

Governare le città e le regioni si può (anche se in Liguria ci sono ancora contrasti su alcuni aspetti del programma comune) ma per arrivare ad una coalizione nazionale «larga» ci vuole un percorso politico lungo e molto difficile, che non riguarda solo i temi, ma anche le persone. Conte e Renzi, per esempio, sono incompatibili: il primo rimprovera al secondo di averlo sfrattato da Palazzo Chigi (non gliela perdonerà mai, è facile intuirlo, dato che il leader pentastellato desidera tuttora tornare a fare il presidente del Consiglio); Renzi, dal canto suo, approva il «campo largo» purché sia guidato dalla Schlein (che, si suppone, per lui sarebbe anche la candidata premier, beffando Conte).

E c’è un secondo problema: Grillo, del quale non si parla abbastanza ma che conta parecchio. Nella partita ligure il fondatore del Movimento è un protagonista, perché si tratta pur sempre della sua regione, che è stata una roccaforte pentastellata. Il M5s sta attraversando una fase di cambiamento che si concluderà nel periodo delle elezioni regionali.

I «duri e puri» delle origini, i grillini, sono pronti a scindersi dai «ministeriali» di Conte: questo può far perdere voti al «campo largo», perché i «massimalisti pentastellati» non stanno con la destra ma neppure col Pd e con la sinistra; quindi, non faranno certo parte di un’alleanza nazionale o locale con altri.

Ecco perché Conte continua a punzecchiare gli alleati della coalizione e ad attaccare Renzi: non può mostrarsi arrendevole verso i centristi che per i «massimalisti» del M5s sono acerrimi nemici, proprio adesso che gli iscritti al partito devono votare il passaggio da un movimento ad un soggetto politico ritagliato su misura per il leader pugliese dei Cinquestelle.

Aspettiamo, quindi, anche in caso di successo delle opposizioni nelle tre regioni al voto, a parlare di un «campo largo» già pronto per le politiche. Come l’esperienza del governo Prodi II insegna, un conto è vincere, un altro è (se il collante non è solo il potere fine a sé stesso) trovare la coesione fra i partiti che è necessaria per guidare a lungo il Paese.

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