La crisi della politica come crisi prepolitica

La crisi della politica e, nella fattispecie, della democrazia liberale, è ormai un fatto acquisito, così come largamente convergenti sono le valutazioni addotte per spiegare i fenomeni in corso: la diffusione dei populismi e la sfida da essi lanciata alla democrazia costituzionale; le pulsioni plebiscitarie e le scorciatoie proposte in chiave decisionista; lo svuotamento delle assemblee parlamentari, condizionate da poteri esterni economico-finanziari assai influenti e luogo di una politica succube della tecnica. E ancora: un controllo delle risorse affidato ad istituzioni non elette quali ad esempio le banche centrali e le più disparate agenzie di regolamentazione.
L’elenco potrebbe essere assai esteso: un assenteismo ormai preponderante - alle Europee da poco celebrate i non votanti superano quanti hanno depositato la scheda nell’urna -; la tendenza alla tribalizzazione dei partiti e la capocrazia; la verticalizzazione del potere a scapito della partecipazione e della rappresentanza.
Dunque un quadro da post-democrazia o come taluni sostengono di governi a legittimazione popolare passiva, in rapporto a consultazioni elettorali sì celebrate, ma tali da assumere le sembianze di spettacoli mediatici della simulazione. Le promesse elargite non traducono in policies coerenti ed efficaci. Senza contare, sul piano della Rete, il fatto che alla possibilità di interazione orizzontale, di infrastrutturazione cooperativa delle informazioni e alle potenzialità proprie di una democrazia della sorveglianza si accompagnano abusi informativi, perdita del valore della responsabilità sociale, chiusure autoreferenziali in bolle costruite da ciascuno a propria misura. Insomma si potrebbe procedere sino ad individuare soprattutto nelle promesse mancate e disattese della politica e della democrazia le motivazioni della loro deriva e della loro crisi. Una politica e una democrazia che non possono solo essere regola e procedura ma devono attingere a valori e perseguire progetti.
Per questo esse non possono prescindere dalla sfera prepolitica laddove trovano alimento e ispirazione. Qui però il panorama non è per nulla confortante, a tutti i livelli. L’ideologia, quella sorretta dalle grandi narrazioni del passato che hanno mobilitato passioni ed energie, è sostanzialmente tramontata, cedendo il passo a quel pensiero calcolistico-strumentale che fa dell’egoismo appropriativo il suo perno. A sua volta l’etica, alla quale taluni hanno creduto di poter assegnare il fondamento post-ideologico della politica è alle prese con una radicalizzazione del moderno - appunto il postmoderno - che si manifesta nelle forme di un narcisismo soggettivistico - come scrive il teologo Pierangelo Sequeri, la «cruna dell’ego» -, di un individualismo anomico e di un nichilismo che producono lacerazione del tessuto sociale.
Il legamento comunitario si indebolisce e la fraternità verso l’altro è percepita come peso e limitazione. Quanto alla sfera antropologica, in un tempo in cui la biopolitica è alle prese con i dilemmi della vita e della morte, con l’umano post-naturale, non si dispone oggi di riferimenti condivisi in grado di fronteggiare le sfide della scienza e della tecnica. Non si ravvisa insomma un’antropologia, abilitata a forgiare un nuovo umanesimo che orienti le scelte della politica, ancorandole ad un’idea forte dell’essere umano, della sua natura e cultura.
Infine: l’ispirazione religiosa. Qui il discorso sarebbe assai complesso. Senza scomodare De Tocqueville, per limitarci all’Italia contemporanea certamente ha agito un nesso tra coscienza religiosa e democrazia, tra vita di fede e crescita civile, seppure tra molteplici e ricorrenti contraddizioni. Anche in questo caso la presenza di un deficit, l’inaridirsi di una fonte. Nella temperie della secolarizzazione, agnosticismo e indifferenza largamente diffusi, fenomeni di settarizzazione e privatizzazione della fede veicolano disinteresse per la cosa pubblica sino alla convinzione della sua irrilevanza. Ebbene l’inaridimento della prepolitica come luogo dell’impegno e della testimonianza non spiega certamente in toto la crisi della democrazia -essa è anche organizzazione, ordinamento istituzionale e altro ancora -, ma dovrebbe sollecitare per le varie agenzie educative ambiti di applicazione che non possono essere elusi e disertati come purtroppo avviene.
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