Israele e le alleanze in crisi da ridefinire

Nel 1920 la piccola cittadina di Sèvres, vicino Parigi, assunse notorietà internazionale perché vi fu firmato il trattato di pace tra le potenze alleate della Prima Guerra Mondiale e l’Impero Ottomano, statuendo la spartizione dei suoi territori e portando alla creazione di quello che, più o meno, oggi è il Medio Oriente, con tutte le sue fragilità sistemiche.
In maniera decisamente più sommessa, 35 anni dopo, nello stesso Comune, la villa di proprietà del ministro della Difesa Bourgès-Maunoury diverrà lo scenario di un incontro segreto tra i francesi, il Ministro degli Esteri britannico e l’allora Premier israeliano David Ben Gurion, con Moshe Dayan e Shimon Peres, nel quale si discuterà l’azione militare congiunta che porterà all’occupazione del Canale di Suez e alla conseguente seconda guerra arabo-israeliana. Fu questo probabilmente il punto più alto delle relazioni politico-militari tra Londra, Parigi e Tel Aviv. Una convergenza di interessi nazionali che stabilivano un allineamento ideologico anti-sovietico, anti-nasseriano e, in maniera assai più pragmatica, miravano a tutelare e proteggere le rotte commerciali e dell’approvvigionamento petrolifero.
L’intesa di Sèvres, resa pubblica solo decenni più tardi attraverso fonti diplomatiche declassificate, costituisce uno snodo cruciale nelle relazioni dei tre Paesi e nella storia della proiezione internazionale di Israele: non più soggetto esclusivamente percepito come vittima della storia, ma attore strategico a pieno titolo, integrato nelle logiche militari e geopolitiche delle ex potenze coloniali. Oggi, con l’Europa chiamata a rivedere i propri rapporti con Israele alla luce delle operazioni militari su Gaza, di quelle convergenze di intenti rimane ben poco.
Le pesanti critiche mosse da Macron e da Starmer verso la politica di guerra a oltranza di Netanyahu, che mira a ottenere il controllo militare completo e totale sulla Striscia, hanno provocato una profonda crisi nei rapporti, tanto da indurre il premier israeliano ad accusare i due Paesi di incoraggiare Hamas nelle sue azioni, come secondo lui dimostrerebbe l’attentato all’ambasciata israeliana a Washington. Tradizionalmente vicino a Israele, il Regno Unito ha iniziato a rivedere il proprio approccio anche sulla base delle pressione di sempre più ampi settori della società civile e accademica che hanno influenzato la nuova postura diplomatica britannica al punto da portare all’interruzione degli accordi di libero scambio e condannare le violenze su civili palestinesi come «moralmente ingiustificabili».

Parigi ha giocato invece la carta del possibile riconoscimento dello Stato di Palestina, andando così ad aggiungersi ad altre undici nazioni europee, ma consentendo così al premier israeliano di ribadire la minaccia di annettere gli insediamenti in Cisgiordania. Una ritorsione che in realtà porterebbe ad un ulteriore rafforzamento del suo governo in questo momento di crisi anche interna.
L’Ue si trova in una posizione di equilibrio nel quadro delle sue relazioni con lo Stato di Israele: da un lato continua a riconoscere il diritto di Israele alla propria difesa nei limiti previsti dal diritto internazionale; dall’altro chiede una verifica del rispetto dei diritti umani previsto all’articolo 2 dell’Accordo che regola i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv. Una postura che la vede tuttavia procedere, come sempre, in maniera disarmonica. Due le ormai annose questioni fondamentali, simbioticamente intrecciate ed interdipendenti: il diritto alla costituzione di uno Stato sovrano palestinese e il diritto alla sicurezza di Israele.
Ed è proprio in questa interdipendenza che risiede la difficoltà nel renderle attuabili. Senza il riconoscimento della sovranità palestinese, il conflitto resta una fonte strutturale di instabilità regionale. Allo stesso tempo, uno Stato palestinese legittimo e pacifico ridurrebbe le minacce alla sicurezza israeliana. La soluzione dei due Stati rappresenta dunque una condizione necessaria per garantire entrambe le esigenze, impedita dai relativi estremismi: da un lato quella dei coloni israeliani e dal sesto governo Netanyahu, definito l’Esecutivo più a destra della storia del Paese, dall’altro la continua e pervasiva presenza di Hamas decisa a resistere nella gestione futura della Striscia. Bisognerebbe forse ritornare a una ridefinizione delle convergenze di Sèvres, che siano però basate più sui valori popolari condivisi che sull’interesse strategico, cancellando i legami strumentali, dimostratisi fragili alla prova dei diritti umani e delle responsabilità internazionali. La crisi diplomatica tra Francia, Israele e Gran Bretagna non segnerà la fine di un’alleanza, ma marca il tempo della sua ridefinizione, più trasparente, meno ideologica e fondata su un’etica della coerenza.
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