Il bivio politico dei 5 Stelle

Lo scontro tra l’«Elevato» - Beppe Grillo - e l’«avvocato del popolo» - Giuseppe Conte - sembra non avere fine e rischia anzi di trascinarsi in un ginepraio di azioni legali sino ad offuscare la dimensione politica della contesa in atto e a confondere un’opinione pubblica peraltro sempre più estranea allo spettacolo offerto dal fondatore dei 5 Stelle e da colui che, dopo esserne stato il successore, oggi lo estromette dalla sua creatura.
La conclusione della vicenda non sarà comunque indifferente, non solo, come è ovvio, quanto alle sorti del Movimento, ma in relazione alla dinamica complessiva della vita pubblica del Paese sempre più caratterizzata, anche alla luce dei recenti esiti elettorali, dall’affermazione di un modello bipolare ormai compiuto.
La direttrice che il «partito di Conte» assumerà è destinata infatti a condizionare le sorti dell’intera opposizione al Governo di Destra, nonché le chanches di una possibile alternativa da costruire, se non in tempi ravvicinati. Almeno nel medio periodo. Due linee tra loro incompatibili si contrappongono al di là della disputa sul nome, sui simboli, sul ruolo del garante, sulla questione del doppio mandato, e ben oltre la contrapposizione personale.
Esse riguardano la «cosa»: da un lato l’ipotesi del rilancio di un polo autonomo nel segno del ritorno alla stagione eroica delle origini, allorquando i 5 Stelle si sono presentati come forza antisistema, espressione di una antipolitica globale, retta su di un’enfasi identitaria tesa a respingere la dicotomia destra-sinistra come regola della competizione nell’ambito dei regimi democratici; dall’altro lato l’opzione di una presenza non subalterna, indipendente e competitiva nel campo progressista, senza rinunciare ai tratti caratterizzanti l’ispirazione del Movimento quanto ai temi della sua battaglia: la trasparenza, la lotta alla corruzione, la difesa e promozione della legalità, la tutela dell’ambiente, il contrasto alla povertà e l’impegno per l’uguaglianza. Certamente restano divergenze non da poco e posizioni persino antagoniste rispetto al Pd.
Basti pensare alla politica estera, ai temi della pace e dello schieramento atlantico, alla questione migratoria, alla materia fiscale, nonché, da ultimo, ai rapporti da intrattenere con l’Amministrazione americana dopo la vittoria di Trump.
Divaricazioni che non vanno in alcun modo sottovalutate o minimizzate, ma che non impediscono al «partito di Conte» di disporsi, pur in chiave dialettica, alla ricerca di una cooperazione col Pd e con le altre componenti del centrosinistra. Qui l’opportunità di sottrarsi ad un isolazionismo perdente in un sistema bipolare, tenuto conto che sembra ormai giunto a termine il fuoriuscitismo in direzione della Destra da parte di esponenti e settori del M5s e che l’unità tra chi si oppone all’attuale Governo trova riscontri confortanti tra gli elettori. Essi non sopportano, quando si arriva al dunque della competizione elettorale personalismi, divisioni laceranti, alchimie incomprensibili, come dimostrato in negativo dal caso ligure e in positivo dai successi ottenuti in Emilia-Romagna e in Umbria da parte di una coalizione compatta e inclusiva. La prospettiva che gli oppositori di Conte sembrano privilegiare, vale a dire la scorciatoia che rilancia nostalgie e illusioni ormai consumate, appare pertanto fuorviante come la ricerca di un terzismo fuori tempo.
E così pure non sembrano in alcun modo convincenti le indicazioni che provengono a Conte da suggeritori che propongono un percorso nettamente distante, e non solo differenziato, rispetto a quello del Pd per poi trovare un accordo a ridosso delle future elezioni politiche: oggi le mani libere, domani l’intesa. Dunque una sottovalutazione di quel che la Destra rappresenta - valga almeno il riferimento ai tentativi di sbrego della Costituzione quanto al premierato e all’autonomia differenziata -, la cristallizzazione di una separatezza, di ferite inferte difficilmente recuperabili tra i rispettivi sostenitori, nonché una serie di sconfitte che certamente si verificherebbero nelle consultazioni elettorali amministrative da tenersi prima di quelle politiche. In definitiva non una strategia avveduta e responsabile, piuttosto un escamotage privo di respiro che riduce la politica a gioco delle parti nella logica tipica delle furbate e degli improbabili azzardi.
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