Gli hacker russi hanno il potere di intimidire

Rieccoli. Sono gli hacker di «NoName057». Non hanno un nome ma un marchio ben preciso, sono i guastatori informatici della Russia di Putin. Da quando Mosca ha invaso l’Ucraina sono schierati come un corpo speciale di guerra. Agiscono su ordine preciso, con una capacità di dosare gli attacchi e una strategia commisurata ai segnali che vogliono lanciare. Possono essere pericolosissimi, anche se le agenzie per la cybersicurezza hanno iniziato a prendere le loro misure e a contenere i danni. Se la prendono se qualcuno critica lo Zar del Cremlino.
Stavolta è per le sacrosante parole dette a Marsiglia dal presidente Sergio Mattarella. Le loro operazioni confermano le preoccupazioni che circondano l’affidabilità delle nostre infrastrutture e spazzano via alcuni miti legati agli albori della Rete e all’infatuazione per il libero web. Forse val la pena di iniziare dalle ultime illusioni infrante. Gli hacker sono nati come manifestazione di un’anarchia che faceva dell’abilità nell’uso degli strumenti la leva della libertà e della trasparenza.
Ambientalismo e difesa dei diritti, lotta alla speculazione e circolazione della conoscenza, libero software in libero spazio: alcune delle loro parole d’ordine. Hanno anche cercato un’aggregazione politica nelle varie forme dei «Partiti dei pirati»; il primo nacque nel 2006 in Svezia. Assecondando l’onda di Anonymous, l’altro volto del fenomeno, che era già attivo dal 2003. Cavalieri solitari e identità condivise: questi i due poli dell’oscillazione tendenzialmente anarchica.
Once again we were the most active grouping of the week according to Hackmanac😉#NoName057 #NoName05716 pic.twitter.com/xMuJoZbLaf
— NoName057(16) (@Noname05716) February 26, 2025
Sulla figura dell’hacker si è presto posato persino un mantello di simpatia: erano visti come capitani di ventura nelle Signorie digitali, eroi senza paura nel Selvaggio Web, geni della tecnica nell’impero della tecnologia. L’originaria spinta cyberlibertaria – come tutte le altre del genere – è stata presto imbrigliata da chi ha saputo cavalcare le (anche buone) intenzioni con progetti assai più cinici. Ha fatto la fine delle piattaforme social: qualcuno se le occupa in permanenza e le usa come clava per i propri fini.
Prima appellandosi alla presunta «neutralità» della Rete e ora invocando libertà di parola contro la «censura» che a loro dire imporrebbe chi invece chiede soltanto un po' di misura e rispetto per persone e diritti. Gli hacker hanno sempre cercato di sfuggire alle regole, senza alcuna remora hanno spesso imboccato la via «dark». Tutti liberi di fare tutto, senza chiedere autorizzazione. Qualcuno ha provato a fare una distinzione fra hacking e attacchi informatici, discernendo fra genietti senza cattive intenzioni e farabutti senza ritegno. Ma sarebbe come spaccare il capello in quattro. Ed infatti, qualche potenza vera ha allestito squadre e squadracce, con buona pace delle illusioni libertarie.
Ha messo a libro paga soldati e mercenari della tastiera. Ed eccoci davanti ai timori per la solidità delle nostre infrastrutture informatiche. Gli hacker filorussi non hanno limiti. Non attaccano solo Ministeri o Forze dell'ordine, ma mettono nel mirino anche i sistemi di aeroporti e stazioni, porti e ospedali, banche e giornali, amministrazioni statali ed Enti locali. Lo fanno sistematicamente e ogni giorno: seicento volte da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Lo fanno con un organigramma flessibile, che si adegua alle occasioni e che chiama all'azione «pc zombie» sparsi per il mondo.
Due i metodi di attacco. Il primo, più pericoloso, con i ransomware, consiste nel penetrare in un sistema e succhiarne i dati, portarli via, o prenderli in ostaggio per poi mettere in atto un ricatto. Il secondo, l'attacco DDoS, si effettua aggredendo con una massa di dati il sistema, rallentandolo o addirittura bloccandolo. Intanto i sistemi difensivi sono diventati più attenti e rapidi, spesso riuscendo a ridurre i danni a semplici disguidi, percepiti dagli utenti come rallentamenti.
Continuing our attacks on Italy😈https://t.co/lDYSrBjSHz
— NoName057(16) (@Noname05716) February 27, 2025
❌Friuli-Venezia Giulia region https://t.co/9zeDR6z2XA
❌City of Brescia https://t.co/nTGIEB6AJw
❌Region of Lombardy (dead on ping) https://t.co/7jLQYUBo1S
❌City of Parma https://t.co/AK3NIt9xoN
❌City of… pic.twitter.com/fcOBnYUGro
Gli hacker entrano in azione se viene varata una sanzione, se è in vista una votazione in Parlamento o una riunione importante a livello europeo, persino se leggono un articolo che non piace al Cremlino. Qualche volta, come nel caso dei recenti attacchi relativi al discorso del presidente Sergio Mattarella, il motivo viene dichiarato in maniera esplicita. Quale obiettivo hanno? Intimorire. Dare fastidio per lasciar intendere che possono fare male davvero. In fondo la loro è una forma di cyberbullismo. Lo testimonia un aneddoto: quando è stato nominato, il direttore dell’Agenzia italiana per la cybersicurezza, il prefetto Bruno Frattasi, si è visto mettere online una sua foto con un colabrodo in testa.
Sono un po’ spie e un po’ terroristi: anche questa è la guerra nel mondo dell’infosfera. Per non parlare della mobilitazione permanente, che usando ogni strumento della Rete, crea e moltiplica le fakenews, punta a disinformare e disorientare l'opinione pubblica, aizza e manovra... Quella, purtroppo, sembra essere destinata a diventare la normalità. E la Russia, in questo, può contare su molti alleati.
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