Giorno del Ricordo, risarcimento per una ferita mai suturata prima

Il dibattito sulle Foibe e sui crimini dei partigiani jugoslavi
Una foiba
Una foiba
AA

Esule da Pola, Sergio Endrigo scrive con Roberto Stanich un testo di grande suggestione: «da quella volta non ti ho trovato più strada fiorita della gioventù. Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morrà».

Espressioni che bene rendono il senso di smarrimento e la condizione di sradicamento che afferrano i profughi giuliano-dalmati costretti all’esodo in seguito al trasferimento alla Jugoslavia delle provincie di Zara, Fiume e Pola, una delle clausole del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio del 1947. Sono circa 300mila i cittadini italiani che trovano riparo nella penisola andando incontro a situazioni di estremo disagio – sofferenze morali e privazioni materiali – cui solo un processo faticoso e lungo di integrazione nella vita del Paese porrà rimedio. Un percorso assai travagliato di inserimento che, per quanto attiene all’area bresciana, trova oggi una approfondita e meritoria ricostruzione nello straordinario lavoro di Giovanni Spinelli dedicato appunto all’esodo, «da profughi a cittadini».

Nel complesso - dai massacri delle foibe perpetrati dai seguaci di Tito in vista di una pulizia etnica all’abbandono delle loro terre da parte degli esodati - vicende a lungo rimosse in una coscienza nazionale ammorbata dal virus dell’amnesìa, incapace di fare i conti con un passato controverso e scomodo, dunque confinato in una sorta di censura e consegnato alla patologia della memoria per interi decenni.

Sono molteplici i fattori entrati in gioco. Anzitutto l’interesse del Governo italiano ad una politica di cordiali relazioni con la allora Jugoslavia, una linea adottata sia per i vantaggi derivanti dal non allineamento di Tito con l’Unione Sovietica, sia a motivo dei benefici degli scambi commerciali per l’economia del nostro Paese, sia infine per le ricorrenti preoccupazioni concernenti un’area spesso in ebollizione come quella balcanica.

A questo si aggiungono per un’intera fase la scomunica riservata da parte jugoslava, sino a parlare di «provocazioni fasciste», nei confronti di quanti si cimentano con l’orrore delle foibe e ne denunciano le responsabilità, nonché la riluttanza e la contrarietà ad affrontare il tema da parte della Sinistra - tanto in sede politica che storiografica, quanto in rapporto ai contrasti tra le formazioni partigiane italiane e jugoslave, nonché in relazione alla contraddittoria - a dir poco - linea del Pci circa la questione del nostro confine orientale.

E così pure le vicende del Ventennio, che sino alla guerra hanno visto il fascismo macchiarsi di ferocia e atrocità, ostacolano un’adeguata visitazione delle tragedie che si sono consumate: l’italianizzazione forzata delle popolazioni slovene e croate, l’occupazione, i rastrellamenti e le violenze di massa, le deportazioni, l’universo concentrazionario dei «campi del Duce» tra i quali quelli tristemente famosi di Arbe in Dalmazia e di Gonars in provincia di Udine.

Agisce il mito degli «italiani brava gente» operante in termini autoassolutori che esonerano dal riconoscimento delle colpe di ciò che è accaduto. Tutto risulta indicibile e intere pagine restano bianche in un silenzio opprimente rotto solo parzialmente da pochi storici o dal deflagrare della polemica politica, oltre che naturalmente dalle testimonianze dei superstiti o dei loro congiunti. Bisogna attendere il collasso della «Repubblica dei partiti» perché si possa giungere finalmente al riconoscimento della memoria rimossa e alla promulgazione della legge 92 del 30 marzo 2004 che istituisce il «Giorno del Ricordo».

Esso assume il significato di un risarcimento per una ferita mai in precedenza suturata - foibe ed esodo - e nel contempo sollecita, come letteralmente sta scritto , una puntuale riconsiderazione delle «più complesse vicende del confine orientale»: là dove italiani e slavi sono stati a diretto confronto nelle loro rispettive identità e processi di nazionalizzazione si sono trovati a misurarsi reciprocamente secondo logiche di sopraffazione.

Nell’Europa odierna il quadro è cambiato, se pure si assiste a inquietanti ritorni di pulsioni sovraniste e neonazionaliste rispetto alle quali le vicende del passato dovrebbero costituire un severo ammonimento, nonché impegnare alla ricerca della pace. Riletto in questa prospettiva, l’incontro di Trieste del luglio 2010 tra Giorgio Napolitano e il presidente croato Ivo Josipovic assume un alto valore simbolico: l’omaggio congiunto ad alcuni luoghi della memoria ha detto infatti che una lettura veritiera della storia è condizione per un futuro di riconciliata convivenza.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.