Germania, una democrazia sotto stress politico e ideale

Per la prima volta nella storia della Repubblica Federale, per l’elezione del nuovo cancelliere Friedrich Merz, è stato necessario un secondo turno di votazioni del Bundestag
Friedrich Merz - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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La crisi della politica tedesca, di fatto iniziata all’indomani dell’addio di Angela Merkel, non sembra trovare soluzione. Per la prima volta nella storia della Repubblica Federale, per l’elezione del nuovo cancelliere Friedrich Merz, è stato necessario un secondo turno di votazioni del Bundestag.

Nella sua eccezionalità, il fatto è solo apparentemente disgiunto dall’altra notizia che in questi giorni ha messo la Germania al centro dell’attenzione del mondo: il report dei servizi che ha classificato il partito Alternative für Deutschland come di «estrema destra», un evento che richiama – in senso ampio – uno stato d’eccezione. In realtà, siamo di fronte a due fenomeni strutturali che attraversano l’Europa e mettono alla prova le nostre fragili democrazie.

I diciotto franchi tiratori che hanno affossato l’elezione di Merz nel voto mattutino del Bundestag testimoniano una profonda crisi politica dei partiti epigoni delle grandi tradizioni novecentesche che, non solo hanno perso progressivamente la propria identità, ma sono anche diventati numericamente più esigui. È successo lo scorso anno in Francia, poi in Austria e ora in Germania. La Grosse Koalition su cui poggia l’odierna cancelleria Merz – formata da Spd e Unione (Cdu/Csu) – si chiama così proprio perché un tempo la sommatoria di socialdemocratici e popolari raggiungeva cifre mostruose, ben oltre le maggioranze qualificate. Oggi dispone di soli 13 seggi oltre la maggioranza assoluta, ed è stata resa possibile all’indomani del voto del 23 febbraio scorso solo grazie ai resti elettorali legati al mancato superamento della soglia del 5% da parte di Liberali e del gruppo di Sarah Wagenknecht.

Non solo: Friedrich Merz ha gestito male il periodo di transizione tra le elezioni e l’appuntamento cruciale di ieri. Con forse troppa superficialità e una buona dose di temerarietà, ha fatto sì che, in modo irrituale, il vecchio Bundestag (ovvero nella sua conformazione precedente alle elezioni) fosse convocato in seduta straordinaria a metà marzo per emendare la Costituzione sul freno al debito e stanziare un maxipiano da 1.000 miliardi di euro per la difesa e le infrastrutture. Un interventismo e un protagonismo che ha pagato ieri, e di cui Merz dovrà fare tesoro in quella che si annuncia come una legislatura turbolenta.

La sua hybris dovrà essere accantonata innanzitutto nel rapporto con gli alleati socialdemocratici, tra le cui file non sono mancate voci dissonanti rispetto alla Grosse Koalition. Alla fine, a salvare la situazione per arrivare subito a una seconda votazione che ha portato all’elezione del cancelliere, hanno contribuito anche le due forze d’opposizione «responsabili», ovvero Verdi e Sinistra, che si sono espresse a favore di un secondo turno senza ulteriori rinvii. Il tutto mentre AfD, con la sua leader Alice Weidel, aveva immediatamente invocato le elezioni anticipate.

E questo ci porta al tema della crisi ideale delle democrazie europee, con l’avanzata di forze politiche che sono portatrici di valori non semplicemente antisistemici, ma più pericolosamente antidemocratici. L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, nel momento in cui afferma che la concezione prevalente di Alternative für Deutschland «basata sull’etnia e sulla discendenza, non è compatibile con il libero ordine democratico di base», apre la strada a un delicatissimo percorso che potrebbe condurre fino alla messa al bando di AfD.

Uno scenario dagli esiti imprevedibili, perché significherebbe eliminare una forza politica fondata solo nel 2013 e protagonista di una crescita elettorale tumultuosa fino a tre mesi fa, quando è stata votata da un tedesco su cinque. Anche l’osservatore più disattento può individuare analogie con il caso delle recenti presidenziali romene: nel dicembre 2024 il primo turno è stato annullato ex post, con il candidato indipendente di estrema destra al 20%; domenica, un nuovo candidato più strutturato, Gheorghe Simion, leader del partito sovranista Aur, ha ottenuto il 40% dei consensi.

Siamo di fronte a uno stato d’eccezione in senso ampio: in Romania si è intervenuti contro le ingerenze russe e per difendere lo spazio europeo dagli appetiti di Mosca, pur spingendosi oltre la linea democratica, ma sotto l’ombrello della giustizia costituzionale. Lo stesso dilemma si pone ora in Germania, dove uno stato di eccezionalità è stato risolto brillantemente dalle forze democratiche, ma dove, a fronte di una sfida esistenziale e ideale, sarà necessario valutare con attenzione se muoversi verso un punto di frizione tra legalità e legittimità democratica – che richiama, appunto, lo stato d’eccezione. Il governo Merz parte in salita e potrebbe non avere la forza, né la lucidità politica, per affrontare la minaccia antidemocratica.

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