L’impunità di Trump, gli imbarazzi dell’Ue e la voce di papa Leone

Donald Trump è il nostro principale ed insostituibile alleato, anche per l’oggi e il domani, e che quindi va necessariamente assecondato nelle sue movimentate scelte strategiche? Oppure si è palesato, dopo la rielezione a presidente, come il pericoloso concorrente che, con le armi finanziarie e militari, vuole mettere in ginocchio l’Unione europea e sconfessare la politica estera Usa dal dopoguerra ad aggi? La risposta comportamentale di ex alleati e avversari è altamente divisiva: sconta i cambi frequentissimi di impostazione tattica del presidente americano.
Lui si atteggia ad oligarca, in grado di lanciare ultimatum che rivede in penultimatum. Ecco allora quanti sollecitano di accettare i suoi dazi altalenanti, contrattando il male minore possibile, mentre altri sollecitano contromisure dure ed efficaci, che lo inducano a rivedere la sue scelte. Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, lo candida platealmente al Nobel per la Pace, mentre a sua volta è inquisito per quanto va compiendo a Gaza. Trump accetta, orgoglioso e convinto, l’operazione segnalazione: lui scrive la nuova storia del mondo, con al centro gli Stati Uniti dalle mani totalmente libere di fare e disfare. Sembra che la democrazia americana sia inceppata e nessun potere sappia bilanciare l’attuale versione presidenziale.

Anzi lui minaccia e rimuove chi lo ostacola nella politica interna, che struttura quella internazionale. Se Netanyahu ha le mani libere a Gaza, con l’Iran, in Siria, l’Europa viene frenata nel suo appoggio all’Ucraina e nel contrasto alla Russia, invasore e proiettata verso la ricostituzione dell’impero sovietico. Con Putin mantiene un dialogo aperto, che legittima il fatto già compiuto e le intenzioni di successive espansioni palesate. C’è una tribuna morale che può opporsi allo stato di guerra mondiale praticato? Depotenziata ulteriormente l’Onu come forza di interposizione, tolti alla Nato i suoi crismi fondanti, la voce universale che può parlare al mondo di pace giusta, disarmata e disarmante, è quella del Papa.Robert Francis Prevost
Leone XIV è statunitense, quindi può rivolgersi direttamente a quella potenza, rivendicando una comune radice e un cammino valoriale costruito insieme nei decenni. Se tutti i papi postconciliari, che si sono succeduti da Giovanni XXIII, hanno inciso nelle scelte geopolitiche mondiali, collegandosi a Pio XI per il transito dal secondo conflitto mondiale, Robert Francis Prevost, già nella scelta del nome ha declinato l’impegno a farsi carico delle sfide delle cose nuove, che vanno oltre Trump, Putin, Netanyahu.
Il governo Meloni sarà obbligato, dal calendario che indica le scadenze temporali degli ultimatum, a compiere delle scelte operative: con Trump, con l’Unione europea, in isolante solitudine. Sullo sfondo ravvicinato le elezioni regionali: diranno il gradimento popolare dei comportamenti di chi ci governa e di quanti ambiscono a sostituirli rivedendo – ma come? –, le strategie di fondo e navigando fra gli scandali che si rincorrono. L’onda lunga che si chiede a papa Leone di smuovere può innescarsi si da ora nel vissuto quotidiano.
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