Destra italiana e memoria pubblica

Nell’opinione pubblica c’è chi dà una valutazione edulcorata del fascismo
Sergio Mattarella, Ignazio La Russa e Giorgia Meloni - © www.giornaledibrescia.it
Sergio Mattarella, Ignazio La Russa e Giorgia Meloni - © www.giornaledibrescia.it
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Il rifiuto di Giorgia Meloni a rispondere all’interrogativo se può dirsi antifascista risulta sconcertante solo a considerare la ricorrenza del centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, evocato senza alcun riferimento alle responsabilità di Benito Mussolini, e dell’ottantesimo anniversario delle Fosse Ardeatine.

Riproposto a ridosso del 25 aprile, tale interrogativo nuovamente ha ricevuto un diniego, ragion per cui si può dedurre una spiegazione molto semplice: Giorgia non può dirsi antifascista per il semplice fatto che non lo è. Tuttalpiù può essere afascista in nome di quella defascistizzazione retroattiva del fascismo, di quella memoria indulgente e di quella assunzione dell’antitotalitarismo come asse di legittimazione etico-politica proposto in luogo dell’antifascismo.

Del resto per la Destra italiana - si pensi alle dichiarazioni del cognato-ministro Francesco Lollobrigida - l’antifascismo non può assurgere a coordinata della memoria pubblica poiché risulta «inesorabilmente divisivo», contrastante con l’aspirazione ad una condivisa memoria «nazionale». Da qui il ricorrente appello alla pacificazione tra le parti contrapposte, accompagnato ad una narrazione in chiave revisionista della storia italiana, ad uno svilimento della Resistenza e dell’antifascismo, sino alla denigrazione.

Anche l’opinione pubblica risulta peraltro propensa in alcuni suoi settori ad una valutazione positiva ed edulcorata del fascismo - un regime da operetta -, e volta a sottovalutare, a negare le sue caratteristiche liberticide, oppressive e criminali, riducendolo ad un esperimento farsesco. Come documenta una rilevazione del 2018, il 19% degli intervistati esprime un giudizio positivo su Mussolini, il 12% si colloca in una zona grigia, mentre un 6% non si pronuncia. Solo una quota irrisoria mostra di apprezzare Hitler e il nazismo.

Diffuso altresì è il ricorso a quello che taluni studiosi hanno definito il «demone della analogia», il «vizio del confronto», soprattutto col nazismo tedesco. Essi si traducono nell’assunto secondo il quale Mussolini e il fascismo «hanno fatto anche cose buone». Secondo lo storico Francesco Filippi, una «idiozia».

La «welfare dictatorship» resta infatti pur sempre una dittatura, al di là delle ricostruzioni circa realizzazioni quali le paludi bonificate, i treni in orario, le colonie estive etc. Del resto anche il nazismo ha costruito autostrade e asili nido e Stalin ha portato l’Unione Sovietica al rango di terza potenza industriale, ma non per questo si può negare il carattere dittatoriale della Germania nazista o del comunismo sovietico.

Ebbene sono due i percorsi da compiere. Anzitutto una corretta disamina di ciò che il fascismo ha rappresentato: un disegno, concretizzatosi in regime, fatto di violenza, di negazione della democrazia, di stravolgimento dello Stato liberale e del diritto, di sopraffazione del dissenso e di soffocamento dell’opposizione, di razzismo antisemita, di cultura bellicista alimentata da un nazionalismo aggressivo. Dunque non un regime all’acqua di rose, ma, come scrive il maggior storico del fascismo – Emilio Gentile – , «il primo esperimento totalitario attuato in un Paese dell’Europa occidentale», fino a costituire un modello per il nazismo tedesco.

In secondo luogo si tratta di assegnare il giusto significato all’antifascismo. Esso ha conosciuto nell’Italia repubblicana più di una versione. È stato difensivo negli anni ’50, progettuale nella stagione del centrosinistra, «militante» all’epoca delle stragi e a fronte di zone oscure dello Stato, sino a degenerare in pratiche antidemocratiche, poi celebrativo nel decennio successivo, in seguito costretto a giocare di rimessa a fronte dell’offensiva revisionistica.

Oggi l’antifascismo non può che essere la «religione civile» degli italiani, il collante che li lega nel patriottismo della Costituzione repubblicana, nel riconoscimento di principi democratici da praticare nel vissuto quotidiano oltre che nell’arena più propriamente politica. Una sanzione definitiva e irrimediabile del fascismo, della sua ideologia, della sua concreta vicenda storica, nonché delle sue attuali reviviscenze.

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