In Congo una guerra civile che sembra infinita

«Troppi morti – dice la gente –, non c’è abbastanza posto all’obitorio, giacciono lungo le strade». Niente acqua potabile, niente corrente elettrica, un migliaio di feriti, seicentomila persone in fuga, verso campi profughi già al collasso, dal punto di vista alimentare e igienico-sanitario. Questo quanto sta accadendo a Goma, capoluogo della Provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RdC), città di quasi due milioni di abitanti, situata sulle rive del lago Kivu, al confine con il Ruanda.
WEST USING PROXIES TO CARRY OUT WAR IN CONGO
— African Stream (@african_stream) January 29, 2025
The conflict in the Democratic Republic of the Congo (DRC) has boiled over in recent days.
The M23 rebels, backed by Uganda and Rwanda, encroached on Goma city on 27 January, forcing hundreds of thousands of residents to flee to… pic.twitter.com/OJdBiqfkEp
In quest’area, importante snodo commerciale per il transito di merci e risorse minerarie (oro, cobalto, coltan, stagno, tantalio, tungsteno), i ribelli appartenenti al Movimento filo-ruandese 23 Marzo (M23) incamerano grossi guadagni chiedendo pedaggi. Nella notte fra il 26 e il 27 gennaio, dopo aver dato un ultimatum di 48 ore alle forze governative congolesi, affinché abbandonassero la città, hanno sconfinato, dichiarando di averla conquistata. Quest’angolo di mondo sarebbe semi sconosciuto se non fosse stato per l’assassinio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo, il 22 febbraio 2021.
Ed è proprio nel 2021 che l’M23 è tornato in attività. Si è fatto strada gradualmente: prima Masisi (80 chilometri da Goma, dove ormai da un anno controlla le miniere di coltan di Rubaya), poi Minova (45 chilometri da Goma), Sake (una trentina di chilometri da Goma), ora Goma. L’esercito regolare congolese (Fardc), supportato dai gruppi armati riuniti sotto il nome di Wazalendo («patrioti», in lingua swahili, ndr), non è più coeso. Tra i militari c’è chi ritiene il presidente Felix Tshisekedi responsabile della loro disfatta nel Kivu, per l’inadeguatezza degli equipaggiamenti, e perché i vertici, davanti all’avanzata dell’M23, spalleggiato dalle Forze armate ruandesi, si sono subito dati alla fuga lasciando le truppe allo sbaraglio.
WATCH| Chief of the SA National Defence Force, General Rudzani Maphwanya message on the Democratic Republic of the Congo conflict. #SANDF #SADefenceNews #RIPSASoldiers #GovZAUpdates pic.twitter.com/kQuegTBBHW
— South African Government (@GovernmentZA) January 30, 2025
La rabbia è esplosa nella capitale Kinshasa. La gente è scesa in piazza per protestare contro una guerra di aggressione, accusando il Ruanda di essere il «mandante» dell’M23, come dimostrato dai rapporti delle Nazioni Unite. Molte ambasciate sono state assaltate. Manifestazioni anche a Bukavu, capoluogo della Provincia del Sud del Kivu, che potrebbe essere la prossima a cadere. C’è anche chi dice che i ribelli intendono marciare su Kinshasa per rovesciare il presidente. Questo significherebbe un cambio di strategia e interessi, finora orientati verso le risorse naturali e minerarie. Non dimentichiamo che l’80% del coltan mondiale si trova proprio nella Provincia del Nord-Kivu.
I am concerned about the situation in the Democratic Republic of Congo. I urge all parties to cease hostilities and safeguard civilians. I pray for peace and call on local and international authorities to commit to resolving the conflict peacefully.
— Pope Francis (@Pontifex) January 29, 2025
Come seconda istanza, c’è il non rispetto del trattato di pace, firmato il 23 marzo 2009 (da cui il nome M23), secondo il quale i combattenti sarebbero dovuti confluire nell’esercito regolare. Dalla parte del Congo, ci sono Belgio e Stati Uniti. Il Ruanda è spalleggiato dalla Cina e dalla Russia. La situazione era già grave agli inizi di gennaio, tanto che Francesco Barone, docente del dipartimento di Scienze umane dell’Università degli Studi dell’Aquila, in Congo per la 62esima volta, è dovuto rientrare velocemente. Appena in tempo, prima che venissero chiusi l’aeroporto e le frontiere con il Ruanda. Era in missione con la sua associazione Help Senza Confini, per portare alimenti e medicinali nei campi profughi.
Barone (Help senza confini), 'a Goma è vera emergenza' #ANSA https://t.co/MOC2M6kUzP
— Ansa Abruzzo (@AnsaAbruzzo) January 28, 2025
«Prima di rientrare – racconta –, ho avuto modo di incontrare il sindaco di Goma, Faustin Kapend Kamand, che mi ha chiesto di intervenire presso la comunità italiana e internazionale, affinché si adoperassero per un definitivo cessate il fuoco in una realtà instabile da decenni, e dove le violenze, i saccheggi e le prevaricazioni sono la normalità. Cosa che ho fatto, ma l’appello è rimasto lettera morta. E ora la situazione è precipitata. La gente è alla fame. E non è detto che il conflitto rimanga circoscritto, il rischio è che venga destabilizzata tutta l’area».
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