Cattolici in politica, una grande vitalità priva di rappresentanza

La Settimana sociale dei cattolici tenuta a Trieste non ha certamente riscosso l’attenzione che per più di una ragione avrebbe meritato: anzitutto la presenza di una qualificata rappresentanza delle articolazioni associative e territoriali del mondo cattolico; in secondo luogo il rilievo del tema prescelto – «Al cuore della democrazia» - che rimanda ad un precedente storico, vale a dire la Settimana del 1945 dedicata a «Costituente e Costituzione», la premessa del contributo della cultura cattolica alla elaborazione della Carta fondamentale. E ancora: un tema proiettato nel vivo del dibattito sulla manifesta crisi in cui versa la democrazia.
Dai lavori è emersa una significativa comprova della perdurante vitalità di una cultura cui fa da corrispettivo tuttavia una presenza in sede politica da parte dei cattolici non all’altezza di una tradizione e di una storia: un progressivo disimpegno, assenza di protagonismo politico e scarsa riconoscibilità quanto alla qualità delle proposte. Linee di pensiero e orientamenti delineati a Trieste, se coerentemente ripresi, possono indubbiamente costituire una traccia in base alla quale motivare la profusione di energie atte a rilanciare la presenza dei cattolici nella vita pubblica. In questa sede mi limito a richiamare i contributi di Sergio Mattarella, di Filippo Pizzolato e Michele Nicoletti, l’uno costituzionalista, l’altro filosofo della politica.
Il Presidente ha tenuto una vera e propria lectio magistralis: la democrazia non solo come regola e procedura, ma come valore, come «alito della libertà», garanzia dei diritti e di una società aperta; la limitazione della volontà della maggioranza che può divenire «più ingiusta e oppressiva di quella di un principe»; il nesso tra democrazia e pace quale antidoto alla guerra; una sovranità europea che «conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati» attraverso le istituzioni comunitarie; una visione in cui «si intreccino libertà individuali e il bene dell’umanità condivisa»; infine la democrazia come «alfabetizzazione» ed «esercizio dal basso legato alla vita di comunità». Un tema questo su cui si è soffermato anche Filippo Pizzolato: «l’assenza o l’astenia di sostegno popolare rendono ogni livello politico-istituzionale, quand’anche dedito al bene comune, più facilmente esposto ai condizionamenti eteronimi». Al fondo un’idea della «democrazia trasformativa» che trova nel lavoro «inteso come ogni apporto quotidiano dei cittadini alla tessitura cooperativa della società», il proprio cardine fondamentale.
Dunque non una partecipazione artificiosa ed occasionale, ma «una inclusione che avviene nel territorio, in prossimità dei luoghi affettivi dell’abitare e del vivere umano», nell’arena politico-elettorale, in quella del dibattito pubblico e in quella «dell’azione civica di tipo collettivo» che apre linee di conflitto, comunque legittime, ma pure «possibilità generative dell’incontro».
A questo Pizzolato aggiunge l’indicazione di alcune criticità: rispetto al progetto costituzionale, l’ambito disatteso della partecipazione entro la sfera economica; proposte di riforma che tendono a «esaurire il popolo entro un volere singolare», deprimendo così la dimensione del pluralismo; l’idea della indifferenza della parte organizzativa della Costituzione rispetto ai principi ritenuti, non senza ipocrisia, inviolabili; il rapporto «malato» dei partiti con la società e l’inattuazione dell’articolo 49 Cost. quanto alla loro democratizzazione.
Non un’agenda programmatica, ma uno spartito atto ad un inveramento della democrazia.
Da parte sua Michele Nicoletti, dopo aver richiamato le sfide oggi più impellenti – ambientale, migratoria, economica, delle tensioni internazionali, dell’innovazione tecnologica, del funzionamento istituzionale -, ha proposto una visione della democrazia come «forma di vita» in grado di attribuire a ciascuno «la capacità di essere soggetto», di affermare non solo sé stesso ma – la lezione di Rosmini - «la potenza di tutto l’essere», la qualità di «relazioni umane e sociali fra esseri liberi e uguali»: un impegno a sottrarre «corpo e anima alla dinamica della mercificazione» in un rapporto tra diritto e persona tale per cui diritti civili e sociali «sono parte di un’unica realtà» da promuoversi attraverso una democrazia deliberativa esito di un confronto e di una formazione discorsiva della volontà pubblica.
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