La carità della politica: i cattolici e la sfida di un nuovo impegno

Cosa significa per i cattolici esercitare la carità della politica nel tempo presente? In un paese, l’Italia, che ha vissuto la lunga stagione di un partito di riferimento, la Democrazia cristiana. Poi sostituita, al suo fragoroso implodere, dal disincanto della partecipazione attiva e da una diaspora che suona vedovanza dal riconoscersi nelle forze partitiche, senza individuare strumenti alternativi.
Il tema rimane aperto ogni volta che ci si chiede a chi può andare, in maniera consistente, quel voto, in libera uscita, nelle specifiche tornate elettorali. Lo testimonia, nel suo piccolo, l’attenzione che ho riscontrato, attraverso messaggi e telefonate, alla nota della scorsa settimana che richiamava le domande che intercorrono sull’avviare, il compiersi, il concludersi della esperienza democristiana.
Senza un proprio strumento identitario, di raccolta del voto di parte, diventa ancor più determinante l’elaborazione di un riconosciuto quadro di valori di riferimento che determini la scelta nell’urna. Sfuggendo alla tentazione del non voto, perché nulla piace in maniera compiuta. Papa Leone XIV, che fin dal nome scelto, e forte della sua vocazione e preparazione agostiniana, ha invitato a stare in campo, non può accettare che ci si chiami fuori, ma neppure che si venga rimorchiati da altrui interessi di potere.
L’associazionismo, pre o post politico, rimane uno strumento che accompagna al disvelarsi della negoziazione dei principi che, di volta in volta, esercitano il sopravvento. Al forte e costante richiamo alla preghiera, che determina il primato della vocazione cattolica, va accompagnato il che fare nelle situazioni concrete che via via si dispiegano nella quotidianità.
Nessuno immagina oggi ripetibile una stagione compatibile con quella democristiana. È totalmente diverso il quadro di riferimento complessivo e la Chiesa stessa batte altri cammini. Leone XIV guarda al mondo intero, dentro il quale interagisce l’Italia non come motore principale, piuttosto come parziale specificità. Contano l’origine statunitense di Prevost, la sua esperienza missionaria in Perù, le responsabilità assunte da vescovo e cardinale in Vaticano.

Non è papa Francesco e via via si noteranno le differenze, a partire dalla volontà di restituire centralità al papato, non consegnato alle periferie del mondo. In astratto sarebbe più semplice tracciare la rotta che indica dove e a chi consegnare il voto cattolico come minoranza che pesa sulle decisioni finali. Non accadrà nel mondo e neppure in Italia. Il laicato cattolico deve assumersi le sue responsabilità. Gli associazionismi, che si fondevano nel partito unico di riferimento, hanno bisogno di una elaborazione che li renda protagonisti laici del messaggio cristiano.
Il Papa necessita della loro carità della politica. C’è la possibilità che avvenga, mentre la guerra bussa alle porte dell’Europa? I governi nazionali sono alle prese con pesanti difficoltà economiche interne? Incertezze istituzionali – vedi la crisi della Francia che sforna 5 governi in 3 anni – che pongono pesanti interrogativi sull’attuazione del premierato da noi? Più che una possibilità pare essere una necessità vitale. Cattolici, battete colpi che vi appartengono.
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