Baby gang, «ragazzi estranei alle regole e all’autorità»

Alle volte le cronache sembrano un bollettino di guerra quando leggi di aggressioni, rapine e violenze ai minori e ad opera di gang giovanili. Colpisce spesso l’età dei ragazzini che sono già così «violenti e vendicativi». È innegabile che facciano spavento gli adolescenti senza autocontrollo e senza freni, ma forse dovremmo parlare di bambini e ragazzini che crescono senza un senso del limite, violenti senza premeditazione, crudeli senza capacità di cogliere le dimensioni dei loro gesti offensivi. Sarebbe meglio pensarli come giovani totalmente estranei alle regole e all’autorità, presi da una sconfinata sensazione di vuoto che li attornia e non fa crescere dentro alcun valore, visto il silenzio familiare e le relazioni educative povere o poverissime.
Ci può stare quella normalizzazione della prepotenza che si respira ovunque, ma nella proliferazione delle «bande», in questo tempo di digitalità e social, conta poco l’ambiente di provenienza o il degrado delle comunità di appartenenza, quanto invece quella pulsionalità senza controllo, quella rabbia che li accomuna e in un battibaleno fa scendere in strada una quantità di giovani armati di coltelli e spranghe con cui aggredire chiunque senza alcun motivo, minacciare compagni, conosciuti o sconosciuti, inoffensivi o pericolosi, senza distinzione.
Sembra strano che chi è vittima di aggressioni reali o virtuali, non segnali né denunci, non cerchi aiuto negli adulti per farsi proteggere. Le vittime non comunicano le minacce o le violenze subite, faticano a denunciarle: è abituale in tutti coloro che subiscono abusi tacere, nascondere, far finta di niente o, come si dice, «far buon viso a cattivo gioco».
Di solito prevale su tutto la paura e la vergogna che sono due emozioni potenti e capaci di impedire qualsiasi comunicazione. La paura è legata alla convinzione di altre ritorsioni, mentre la vergogna appartiene ai vissuti di disistima che la vittima nutre per se stessa e a quel sentirsi colpevole per aver messo in moto il circolo devastante della violenza.
E poi carnefice e vittima sono accomunati da un comune sentire che è quello di non aver fiducia negli adulti, incapaci di autorevolezza e in grado di mettere limiti e dare sicurezze. Quando chiedo ai bambini che incontro, girando soprattutto nelle primarie, perché non segnalino le offese e i bulli minacciosi che si nascondono tra i banchi, mi sento rispondere con pari sorpresa: «Per quale motivo dovremmo farlo? Tanto poi nessuno fa niente e le vittime rischiamo di più di essere prese di mira».
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