Opinioni

Ascoltare per obbedire, un atto di libertà

Durante la Settimana Santa di Pasqua tornano in chiesa le parole di San Paolo
Una preghiera pasquale - © www.giornaledibrescia.it
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Sono questi i giorni nei quali risuonerà nelle chiese l’antica antifona tratta dagli scritti di San Paolo: «Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce…»

E sarà sempre più problematico capire il senso di questa «obbedienza» come ormai non è più comprensibile l’obbedienza delle persone oggi: ai più sembra una anticaglia inutile ed opprimente. Infatti la esagerata esaltazione dei diritti individuali, il pensiero «critico» nei confronti di quanto ci viene proposto dall’esterno, il narcisismo diffuso e un concetto di libertà svincolata da ogni regola o responsabilità e il concetto di autorità concepita solo come ruolo «facilitatore» piuttosto che domanda di un impegno e relativa vigilanza se non controllo, ci ha indotto a non prendere più in considerazione le antiche gerarchie sociali e a ripudiare del tutto, o quasi, la tradizione patriarcale. Non solo: ma anche a deridere e compatire chi fa parte «delle schiere di coloro che obbediscono» come recita un inno liturgico riferito al patrono d’Europa San Benedetto da Norcia.

Ma ritenere l’obbedienza un peso insopportabile non ha dato molti frutti nella società, a cominciare dall’assenteismo, dalla inaffidabilità, dalla insofferenza verso ogni genere di controllo e dalla esclusiva ricerca del tornaconto individuale. Non sono pochi coloro che, a ragion veduta, auspicano un ricupero del valore dell’obbedire. Lasciando ovviamente alle spalle una obbedienza cieca a un padre padrone chiunque sia, bisogna riscoprire il valore dell’obbedienza, sia sul piano personale nella coscienza che su quello collettivo.

Sarebbe anche fuori luogo citare don Lorenzo Milani con la sua lettera «L’obbedienza non è più una virtù» che, fra l’altro, a Brescia vanta una storia di accesi confronti fin dal quando agli inizi degli anni Settanta la regista Mina Mezzadri scrisse l’omonima opera teatrale, mettendola in scena al Piccolo di Milano.

Don Milani parlava di disobbedienza scrivendo ai Cappellani Militari con chiaro riferimento alla guerra che acceca e tende a neutralizzare la libertà di coscienza. Chissà cosa scriverebbe oggi don Milani, un grande obbediente nella Chiesa, a proposito delle assurde guerre in corso.

Inoltre, oggi, siamo tutti spettatori di una solenne e deleteria contraddizione: mentre si declassa sempre più l’obbedienza alla autorità, dai genitori in su, dall’altro lato troviamo una sorprendente obbedienza alla pubblicità, alla moda, agli influencer dei social… Per non parlare di coloro che, proprio in nome della libertà, invocano totalitarismi che, come storia insegna, non esigono altro che obbedienza cieca.

Ma obbedire, come è nella tradizione cristiana, non è un male perché significa, prima di tutto, ascoltare, poi corrispondere in base a quello che si è ascoltato e mi ha interpellato.

Obbedire, in fondo, significa capire di non essere soli evitando la sciagurata tentazione di considerare esclusivamente noi stessi la sola ragione per stare al mondo. Obbedire vuol dire scegliere il meglio non solo per noi ma anche per gli altri.

La persona obbediente non è lo yesman, non è la persona che dice sempre e comunque si, signore”, ma quella che sa vedere la realtà, sa ascoltare le voci che chiedono e invocano e sceglie di mettersi in gioco, in libertà e corresponsabilità.

Per Paolo Cristo è l’obbediente perché non ritenne «un privilegio essere uguale a Dio ma umiliò sé stesso…». E lo fece per noi, dentro un progetto d’amore di un Dio che è Padre. Per noi e per la nostra salvezza. L’esaltazione della sua croce che in questi giorni della Settimana Santa viene giustamente fatta, deve indurre anche a chiedere chi ascoltiamo nella nostra vita e per cosa ci spendiamo. A chi, tutto sommato, obbediamo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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