Dalle buste pronte al gusto della dedizione

In attesa del raccolto del nostro appezzamento, per ora ancora dolcemente addormentato, nei giorni scorsi ho preso a mia nonna due buste di verdura pronta per cuocere. Bietola, spinaci, verza e scarola in un mix perfetto per la tavola invernale.
Prossima al traguardo dei 95 anni, mi ha stupito (e financo amareggiato) con la seguente riflessione: alla fine è molto più comodo comprarla così la verdura piuttosto che coltivarla. Per un attimo tutto attorno a noi si è fatto buio. Nessuna musica a fare da sottofondo, soltanto il silenzio angosciante. A favore di telecamera ecco la mia replica: fingerò di non aver sentito.
Le ore seguenti sono state cariche di sconforto, come se la fatica, l’impegno, l’abnegazione fossero state vane. Come se le vesciche sulle mani, il sudore a imperlare la fronte e a rendere madide le mie camicie (splendide di flanella a quadri quando sono nell’orto), ecco come se tutto questo fosse andato sprecato. Una pugnalata al cuore, questo sono state quelle parole proferite con troppa leggerezza.
Perché coltivare l’orto non è un impegno, è una vocazione. Contano le ceste straripanti di pomodori, di cetrioli, di zucchine, certo che contano, ma mentre affondi il badile nella terra, mentre la concimi, mentre metti a dimora le piantine di cui poi ti prenderei amorevolmente cura, in tutti questi momenti stai compiendo la tua essenza di essere umano. Sei in cammino nella storia. Ed è un percorso che dura tutto l’anno, anzi: l’attesa, e la preparazione, sono i momenti più entusiasmanti. Quelli che ti fanno progettare il futuro. E se poi arriverà la grandinata non fa nulla, l’importante è essersi impegnati sognando.
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@Domenica
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