Per andare di corsa non è mai troppo tardi

Non ho mai praticato sport. Alle elementari odiavo psicomotricità, mi indisponeva: odiavo entrare e uscire da quegli scatoloni. Avrebbe dovuto essere un’evoluzione moderna della classica ginnastica, non credo però che nei primi anni Ottanta fosse un modello così efficiente. In ogni caso, a me non piaceva.
Sempre in quegli anni andai a un corso di nuoto, il primo giorno l’istruttore mi spinse in acqua per dimostrarmi che non dovevo avere paura. Quando riemersi si rafforzò in me l’idea che lo sport ha caratteristiche disumane, nel senso che non va praticato dagli esseri umani. In terza media arrivai ultimo alla campestre, la si faceva alle Montagnette, una fatica inimmaginabile. Fu l’ultima volta che corsi, che camminai veloce se proprio vogliamo essere precisi.
Passati i cinquanta mi sono parzialmente ricreduto, segno che il decadimento mentale opera in modi incredibili. Mi ha molto colpito la storia di un signore indiano che ha iniziato a correre a 90 anni, lo ha fatto per superare un grande dolore: la morte del figlio.
Da allora ha gareggiato in nove maratone, ha battuto anche diversi record. Il primo ministro del suo paese lo ha definito un atleta eccezionale con una determinazione incredibile. Si è ritirato a 101 anni. A chi gli chiedeva il segreto di una forma fisica così smagliante rispondeva: mangiare poco e vivere felici. È morto a 114 anni travolto da un’auto. Il destino è davvero beffardo. Questa storia mi ha fatto riflettere, per mettermi a correre posso aspettare altri quarant’anni.
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@Domenica
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