Italia e Estero

Tamponi e test sierologici, differenze e funzionamento

I primi accertano la presenza del virus, i secondi degli anticorpi. Ma gli aspetti da considerare sono molti
Un campione appena prelevato - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un campione appena prelevato - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Che differenza c’è fra tampone e test immunologico? E perché in queste ore si discute sulla necessità di individuare una tipologia di test i cui esiti siano comparabili sull’intero territorio nazionale? 

Il nodo a grandi linee pare facile da sciogliere: il tampone consente di individuare se si è contratto il virus e stabilire se è ancora presente nell'organismo o meno (in altre parole, se si è malati o meno), il test sierologico accerta se sono stati sviluppati gli anticorpi, che gli esperti stimano vengano sviluppati dopo 10 giorni circa dal contagio. Anche se il fatto di disporne non certifica di per sé l’avvenuta guarigione. I distinguo, tuttavia, sono parecchi. E per fare chiarezza, trattandosi per giunta di materia tecnico-scientifica, è bene fare un passo alla volta.

Il kit di un tampone viene inviato in laboratorio - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il kit di un tampone viene inviato in laboratorio - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

TAMPONI

Quale sia il funzionamento dei tamponi faringei è stato tra gli altri in queste settimane il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco: «Si procede al prelievo di materiale biologico (mucosa), tramite un bastoncino cotonato. Oggetto del prelievo in particolare è la mucosa delle prime vie respiratorie (della faringe in particolare), la zona migliore da analizzare per andare a indagare la presenza di eventuali agenti patogeni e virus». Il bastoncino viene successivamente inserito in un contenitore e accuratamente sigillato. Così il campione viene inviato a un laboratorio di microbiologia, nel quale sarà sottoposto a una particolare procedura denominata Reazione a Catena della Polimerasi (Prc) che consente l’amplificazione dei microrganismi virali e l’individuazione di casi positivi da presenza di patogeni: in questo caso, di Covid-19».

In caso di positività per il paziente (che viene sottoposto per sicurezza ad un ulteriore tampone) scattano a seconda della gravità dei sintomi il ricovero o l’isolamento fiduciario, al termine del quale sono previsti due ulteriori tamponi a distanza di 24 ore. Se entrambi risultano negativi, è acclarata l’eliminazione del virus, del cui Rna non si trova più traccia. Ove anche al termine della quarantena il tampone risultasse nuovamente positivo, il medesimo esame va ripetuto dopo ua settimana.

Tecnici di laboratorio al lavoro - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Tecnici di laboratorio al lavoro - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

TEST SIEROLOGICI

Due metodi di riferimento con caratteristiche e prestazioni diverse, ma ugualmente affidabili, e tante aziende pronte ad attivarsi: i test sierologici all’esame del Comitato tecnico scientificopromettono di essere i grandi alleati della riapertura dopo il lockdown, la cosiddetta fase 2. Riconoscendo gli anticorpi nel sangue possono infatti dire se l’infezione c’è stata e stabilire se il contagio è avvenuto circa un mese prima. Grazie a questi test sarà possibile avere «un quadro della circolazione del virus nel Paese, ma non una patente di immunità», ha rilevato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), Silvio Brusaferro.
«Se di test ce ne sono molti, sono due i metodi di riferimento per quantificare la presenza degli anticorpi: il metodo basato sulla chemiluminescenza e il metodo Elisa», spiega il virologo Francesco Broccolo, dell’università Bicocca di Milano e direttore del laboratorio Cerba di Milano.

  1. La chemiluminescenza (ChLia) si basa su una reazione chimica che nel momento in cui gli anticorpi, o immunoglobuline (Ig), si legano all’antigene, ossia a una sostanza che il sistema immunitario considera estranea, emettene della luce che viene rilevata da un sensore.
  2. Il secondo metodo si chiama Elisa (acronimo dall’inglese «Enzyme-linked immunosorbent assay), ed è un metodo colorimetrico. Anche in questo caso l’antigene aderisce a una superficie e quando si lega all’anticorpo, questo viene reso riconoscibile grazie a un enzima che provoca un cambiamento di colore. «Entrambi i metodi - ha rilevato Broccolo - sono affidabili e molto automatizzabili, vale a dire che permettono di fare moltissimi test in una giornata». Gli anticorpi che vengono riconosciuti nel sangue venoso periferico con entrambi i metodi sono le immunoglobuline G (IgG), che segnalano che l’infezione è avvenuta da oltre un mese.

Un esempio di test sierologico rapido: per gli esperti metodo veloce ma meno affidabile di quelli con prelievo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un esempio di test sierologico rapido: per gli esperti metodo veloce ma meno affidabile di quelli con prelievo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Sono molte le aziende che in questo periodo sono al lavoro per immettere sul mercato e dare ai test una marcatura CE. «Tutte le aziende che avranno questo marchio risponderanno agli stessi requisiti di precisione e potranno avere un’attendibilità tale da garantire un alto valore di sensibilità, specificità, accuratezza e precisione e quindi potranno dare risultati confrontabili».

I diversi test di produzione industriale si basano sui metodi ChLia ed Elisa, ma utilizzeranno preparazione antigeniche differenti e quindi avranno caratteristiche di sensibilità e specificità lievemente differenti. È delle scorse ore la notizia che la Roche ha messo a punto un test sierologico che punta a rendere disponibile per gli inizi di maggio; altre aziende in corsa sono Abbott, Beckmann Coulter, DiaSorin, Snibe, Pantec.

Diversi da questi test quantitativi sono quelli rapidi, che consistono in una sorta di tavoletta di nitrocellulosa nella quale la presenza degli anticorpi viene rivelata dalla comparsa di una barretta colorata: «Sono test semplici ed economici, ma la cui sensibilità - conclude l’esperto - è minore rispetto a quella dei metodi ChLIa e Elisa».

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