Italia e Estero

Rinascere dopo la violenza: le storie delle donne di Lima

La bresciana Valentina Prati racconta il lavoro della Ong Cesvi in Perù per aiutare le donne che hanno subito violenze sessuali
  • Violenza sulle donne: l'esperienza di Cesvi a Lima
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Valentina Prati lavora per Cesvi, una Ong che opera in venti Paesi del mondo per portare sollievo alle popolazioni più bisognose. Recentemente è stata a Lima, in Perù, dove l’organizzazione realizza progetti a sostegno di giovani donne che hanno subìto violenza sessuale: il Perù è infatti il secondo Paese dell’America Latina per numero di casi di denunce di abuso sessuale, dopo la Bolivia e prima del Brasile. Nei soli primi tre mesi del 2017, sono state sporte 1.778 denunce, di cui 1.185 aventi come vittime ragazze di età inferiore ai 17 anni. Qui Valentina Prati ha incontrato le giovani che vengono aiutate da Cesvi a ricostruire il proprio futuro attraverso il progetto «Una Rua: coordinamento di un unico percorso di assistenza contro lo sfruttamento di bambine, bambini e adolescenti», finanziato dal Fondo Italo Peruano. In occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, pubblichiamo il suo reportage. 


Ha un sorriso buffo quando si mette in posa davanti alla fotocamera: arriccia le labbra e mette in mostra gli incisivi. Si è appena grattata via una crosticina dalla guancia e la ferita riaperta sanguina leggermente; sua madre la vede, ma non fa nulla per pulirla. Anjelica ha 8 anni, la stessa età in cui sua madre Paulina ha iniziato a subire abusi sessuali da parte dello zio materno, che in qualche modo è riuscito a farle tenere la bocca chiusa per quattro anni, fino a che, raggiunta la pubertà, la ragazzina non è rimasta incinta ed è stata il suo ventre a parlare per lei. Al contrario di quanto accade nella maggior parte dei casi, la sua famiglia ha preso le sue difese e ha denunciato lo zio: normalmente chi è in situazione di povertà vive in nuclei allargati, così da sostenersi l’un l’altro e incrementare il guadagno economico familiare. Chiudere gli occhi di fronte alle violenze di un membro produttivo della famiglia è quindi soprattutto una necessità, più che indifferenza o codardia. La mancanza di spazi privati, il forte radicamento della cultura machista e la mancanza di modelli familiari alternativi contribuisce alla diffusione della violenza domestica, di cui le vittime sono soprattutto bambine, donne e adolescenti. 

Le giovani (a volte giovanissime) donne vittime di violenza e sfruttamento sessuale vengono prese in carico dallo Stato e accolte nei cosiddetti Centri di Attenzione Residenziale fino al compimento della maggiore età. I centri sono equipaggiati per fornire loro supporto psicologico, educativo, sanitario, nutritivo ma, come succede ovunque nel mondo, le risorse non sono adeguate all’entità dei bisogni. Cesvi, con il progetto «Una Rua: coordinamento di un unico percorso di assistenza contro lo sfruttamento di bambine, bambini e adolescenti», finanziato dal Fondo Italo Peruano, interviene su più livelli per integrare i servizi offerti dal sistema pubblico e fornire alle ragazze un supporto completo e integrato. 

«La maggior parte di queste ragazze, concentrate a elaborare il proprio trauma, non ha alcuna idea di cosa fare all’uscita da questi centri e così, quando si ritrova fuori, è nuovamente a rischio di cadere vittima di sfruttamento sessuale - racconta Franco Alarcon Perez, psicologo Cesvi -. Noi le aiutiamo a riflettere su cosa vorrebbero fare da grandi e quali siano i passi pratici da intraprendere per realizzare i propri sogni e avere una vita economicamente indipendente». 

Carmelita, abusi sessuali e una diagnosi di ludopatia alle spalle, ora passa il suo tempo a studiare materie scientifiche perché vorrebbe diventare ingegnere gestionale; Elena è indecisa se fare l’assistente sociale, la psicologa o l’insegnante: l’importante è restituire quell’affetto e quell’attenzione ricevuti dagli assistenti sociali che le sono stati negati dalla sua stessa famiglia, che non ha voluto crederle quando denunciava le violenze sessuali subite. 

Quando la sua gravidanza e gli abusi da parte dello zio sono diventati evidenti, anche Paulina è stata trasferita in un Centro di Attenzione Residenziale, dove ha vissuto fino ai 18 anni. Uscita dal Centro, ha fatto brevemente ritorno in famiglia, ma il ricordo delle violenze subite era troppo forte e ricorrente. Così, quando ha conosciuto un uomo di una decina d’anni più grande di lei, ci si è messa insieme e ha messo al mondo una figlia. Ora lui lavora lontano da casa e lei vive in un monolocale alla periferia di Lima con le sue due figlie. Per mantenere sé e le bambine vende pollo fritto per strada con un carretto tirato a lucido che, quando non viene usato, viene conservato in un angolo della casa. Agli psicologi del Cesvi ha detto che avrebbe voluto fare l’infermiera, ma che la vista del sangue le mette paura; si stava quindi orientando verso la fisioterapia quando le è stata proposta una borsa di studio per pagare la retta del primo anno. Pensare al futuro non è facile quando le esigenze del presente sono grandi e pressanti, ma Paulina si impegna perché vuole dare alle figlie le chance che a lei non sono mai state concesse. Si alza ogni giorno all’alba, prepara da mangiare, porta le figlie a scuola e va lei stessa a studiare; torna a casa, pranzano insieme, e, lasciate le figlie alla suocera, inforca il suo carretto e va a sfamare i passanti poco lontano dalla sua abitazione. 

A prima vista, sembra che basti una parola sbagliata per spezzare l’equilibrio che queste ragazze si sono ricostruite, ma poi le guardi lavorare, studiare e lottare. Lasci che si avvicinino e ti chiedano chi sei, cosa fai, come si vive in posti che chissà se vedranno mai. E sotto le cicatrici del passato, vedi delle piccole grandi donne che hanno deciso di rinascere.

 

 

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