Le elezioni regionali lombarde, una storia che dura da 53 anni

Dal 1970 al 1990, in Lombardia si è votato con la proporzionale, senza far scegliere direttamente dal popolo il «governatore». Poi, per ben tre volte su sei, dal 1995, il presidente della Regione Lombardia (eletto dal 2000, cinque anni prima solo designato) ha vinto senza però ottenere almeno il 50% dei voti. È una delle tante curiosità delle elezioni in regione, che hanno visto - per esempio - la partecipazione popolare oscillare fra l’84,24% del 1995 e il 64,64% del 2010 (nel 2018 l’affluenza fu del 73,1%).
Il celeste
Roberto Formigoni detiene il doppio record di presidente eletto con la minore percentuale di voti (41,07% nel 1995) e con la maggiore (56,11% nel 2010). Il centrodestra ha sempre vinto le elezioni, ma nel 1995 lo ha fatto senza la Lega; il centrosinistra non si è sempre presentato unito «modello Unione 2006», quindi ha ottenuto risultati mai troppo eclatanti: 27,4% nel 1995, 31,5% nel 2000, ma 43,2% nel 2005 (con Riccardo Sarfatti: va detto che quel giorno, il 3 aprile, solo Lombardia e Veneto andarono al centrodestra, mentre il centrosinistra trionfò in tutte le altre regioni ordinarie), 33,3% nel 2010, 38,2% nel 2013 e 29,1% nel 2018.
Le terze forze hanno avuto consistenza di volta in volta diversa: la Lega nel 1995 (18,7%), la Lista Pannella-Bonino nel 2000 (3,3%), Alternativa sociale-Mussolini nel 2005 (2,7%), Udc nel 2010 (4,7%), M5s nel 2013 (13,6%) e nel 2018 (17,4%). Di fatto, solo nel 1995 e nel 2013-2018 i «terzi incomodi» hanno potuto avere un peso importante sul risultato, impedendo ai vincitori di ottenere il 50% dei voti.
Lo scarto fra il primo e il secondo classificato è stato del 13,7% nel 1995 (inferiore al dato della Lega), del 4,6% nel 2013 (molto meno del 13,6% del M5s) e del 20,6% del 2018 (qui l’eventuale apparentamento centrosinistra-grillini, almeno sulla carta, non avrebbe avuto la meglio sulla coalizione di Fontana). In tre occasioni su sei, dunque, se ci fosse stato il doppio turno avremmo avuto il ballottaggio fra un candidato di centrodestra e uno di centrosinistra. Va detto, inoltre, che alle politiche dello scorso 25 settembre, al Senato, il centrodestra ha avuto il 50,4% dei voti contro il 27,1% del centrosinistra, il 7,3% del M5 e il 10,1% del Terzo polo.Vittoria inversa
Nel 2018, le liste di centrodestra erano invece salite fino a quota 51,3%, quelle di centrosinistra erano al 27%, il M5s al 17,8% e Liberi e uguali al 2,1%; ciò nonostante, Fontana non ebbe come presidente il 50% dei voti. Questa è una tradizione consolidata nel centrodestra: il candidato prende di solito meno voti delle sue liste. Nel 1995, Formigoni ebbe lo 0,65% in meno, nel 2000 il 3,4% in meno, nel 2005 l’1,6% in meno, nel 2010 il 2,1% in meno; Maroni, nel 2013, ebbe appena lo 0,3 in meno, mentre nel 2018 Fontana cedette l’1,5% rispetto alle liste.
Discorso diverso (non sempre) per i candidati di centrosinistra: nel 1995, 2,2% in meno (Masi); nel 2000, 3,1% in più (Martinazzoli); nel 2005, 1,1% in più; nel 2010, -0,08%; nel 2013, più 0,9%; nel 2018, più 2,1% (Gori). Nel 1995 e nel 2000 il partito più votato è stato Forza Italia; nel 2005 Uniti nell’Ulivo; nel 2010, il Pdl; nel 2013, il Pd; nel 2018, la Lega (infine, alle politiche del 2022, Fratelli d’Italia).
Leghisti
Il consenso al Carroccio - che è nato in Lombardia - ha oscillato molto (soprattutto negli ultimi anni) nelle varie consultazioni regionali: 17,7% nel 1995, 15,4% nel 2000, 15,8% nel 2005, 26,2% nel 2010, 13% nel 2013 (ma c’era il 10,2% della lista Maroni presidente), 29,7% nel 2018 (13,9% alle politiche 2022).
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