Italia e Estero

Il terrorista in libertà che ha ucciso due persone a Londra

Bufera in Gran Bretagna sull'attentato al London Bridge: il carnefice era già stato condannato per terrorismo. L'Isis rivendica l'attacco
Il luogo in cui è stato compiuto l'attentato - Foto Ansa/Epa Vickie Flores © www.giornaledibrescia.it
Il luogo in cui è stato compiuto l'attentato - Foto Ansa/Epa Vickie Flores © www.giornaledibrescia.it
AA

L’Isis rivendica l’attacco al London Bridge e definisce l’attentatore di Londra un suo combattente. Usman Khan è un simpatizzante di Al Qaeda, condannato per terrorismo e scarcerato in anticipo, pronto ad approfittare di una conferenza sulla riabilitazione dei detenuti per scatenare la sua furia.

È il paradosso tragico e inquietante che si svela dietro la figura di Usman Khan, 28 anni, il killer che ha seminato morte e paura a London Bridge, armato di coltello e con un finto gilet esplosivo addosso, uccidendo 2 persone e ferendone seriamente altre 3 prima d’essere affrontato da alcuni passanti «eroi» e infine freddato dalla polizia. Un paradosso che innesca le polemiche sulla «certezza della pena», cavalcate con toni da pugno di ferro dal premier Johnson a meno di due settimane dalle elezioni britanniche del 12 dicembre.

 

Usman Khan - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Usman Khan - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

 

La dinamica dei fatti di Londra è ormai chiara. Khan, figlio di genitori pakistani cresciuto in Inghilterra, avrebbe agito «da solo», stando alle prime indagini di Scotland Yard concentrate sul luogo dell’attacco e a Stafford, dove Usman abitava. Scatenando l’aggressione dapprima nella Fishmongers’ Hall, la sala all’imbocco del ponte in cui era stato ammesso come altri ex detenuti, con accademici e studenti a un incontro organizzato dall’università di Cambridge nell’ambito d’un programma di reinserimento. Per poi concluderlo in strada, sino alla colluttazione con chi, incluso un ex ergastolano, cercava di fermarlo anche a colpi di estintore e agli spari definitivi e fatali d’un agente armato.

Pochi minuti di violenza destinati a innescare interrogativi e allarmi, mentre viene rivelata l’identità della prima delle due vittime: Jack Marritt, giovane laureato di Cambridge impegnato nel recupero dei detenuti attraverso l’istruzione.

Khan non era per nulla uno sconosciuto. La sua storia di jihadista in erba risale almeno al 2008, quando compare 18enne per la prima volta nei radar della polizia fra gli adepti di moschee come quella dominata dall’incendiario predicatore Anjem Choudary. E culmina nell’arresto nel 2012, con tanto di pesantissima condanna condivisa con 8 complici sulla base dell’accusa d’avere progettato un attentato dinamitardo contro la Borsa di Londra, d’aver raccolto informazioni sull’allora sindaco Johnson, sul rettore della cattedrale anglicana di Saint Paul, sull’ambasciata Usa, su obiettivi ebraici. E ancora di aver pianificato la creazione di un campo di addestramento ispirato ad Al Qaeda su un terreno del Kashmir pachistano di proprietà della sua famiglia. Crimini che gli erano valsi una condana a 16 anni. Salvo ottenere la libertà vigilata nel dicembre scorso, dopo neppure 7 di reclusione effettiva e col solo obbligo - rivelatosi inutile - di indossare un braccialetto elettronico di sorveglianza.

Da qui la bufera che Johnson è stato pronto a sollevare. L’indice del primo ministro, deciso a evitare contestazioni sui servizi d’intelligence o sulla scelta certificata dal suo stesso governo di abbassare il 4 novembre l’allerta terrorismo nel Regno al livello più basso dal 2014, ha puntato dritto sul sistema giudiziario e sui benefici che garantisce. Non senza un attacco ancor più elettoralistico alle «leggi laburiste» affidato alla sua ministra dell’Interno, Priti Patel. Usman Khan, ha tuonato BoJo a margine di una visita al London Bridge e prima della seconda riunione del comitato d’emergenza Cobra in due giorni, «aveva scontato solo metà della sua pena, è chiaro che il sistema degli sconti automatici non funziona». «Non ha senso per la società che persone condannate per terrorismo e criminali violenti godano di scarcerazioni anticipate, ogni anno va scontato». Parole strumentali, ma che nessuno si sente davvero di contraddire nel clima odierno. La sola voce che riecheggia resta quella di un messaggio della 93enne regina Elisabetta: che con il consorte Filippo si dice «rattristata dalla terribile violenza» e prova ad alzare lo sguardo, evocando «preghiere» per le vittime.

Nel frattempo, il ministero della Giustizia britannico ha iniziato nella notte una revisione urgente dei casi di benefici e permessi, come la semilibertà, a detenuti potenzialmente pericolosi, esaminando almeno 70 casi, su input dello stesso Boris Johnson. 

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia