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L’Uomo digitale, la sfida dell’Intelligenza artificiale tra imitazione e arte

Nell’ambito di «Duende» esposte due installazioni. Nadia Busato: «L’AI non ricrea i meccanismi del pensiero»
L'incontro nell'ambito di Duende - © www.giornaledibrescia.it
L'incontro nell'ambito di Duende - © www.giornaledibrescia.it
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«Digital humans», imitazioni dell’umano prodotte dall’Intelligenza artificiale: ciò che un tempo era confinato al mondo della fantasia, oggi è reale.

Se n’è parlato venerdì 1 dicembre in una tavola rotonda nel foyer del Teatro Sociale, dal titolo proprio «Digital humans e imitazione dell’umano», nella prima giornata del festival di arti performative e nuove tecnologie «Duende» (durerà fino a domenica 10 dicembre).

Potenzialità

L’imitazione digitale dell’uomo, ha spiegato la moderatrice e direttrice artistica del festival Nadia Busato, suscita interrogativi che riguardano l’arte, ma anche «la società, la formazione, la medicina, l’economia, il lavoro: il tema è la tutela della creatività, in un mondo sempre più ibridato». Tra le relatrici, Simonetta De Brumatti e Laura Agostinelli, entrambe art director di Neosperience, società che sviluppa «soluzioni digitali empatiche» per le aziende e che per «Duende» ha creato due installazioni multimediali, al C.AR.M.E dal 4 al 10 dicembre, tra cui «Digital Humans», proiezione di due scenari sul futuro del Pianeta generati da un’intelligenza artificiale.

Cos’è, quindi, il digital human? «Una tecnologia in evoluzione - spiega De Brumatti -, che mescola AI, video e digitale e ripropone il nostro essere quasi come un gemello: quanto poi il risultato sia efficace ed empatico è ancora da scoprire». Una somma di tecnologie, «che integrandosi ripropongono situazioni umane», aggiunge Busato, ma solo come imitazioni: «Gli algoritmi dell’AI non sono oggi in grado di riprodurre i meccanismi del pensiero e delle relazioni».

Ma come si crea un digital human? Ha spiegato Agostinelli: «Per quello del C.AR.M.E abbiamo usato piattaforme che consentono di caricare filmati di una persona tramite l’AI e di adattarle a superfici 3D, più un programma per creare voci sintetiche e ChatGpt per i contenuti. È un mix interessante quando entrano in gioco competenze umane: cosa deve comunicare questo avatar, in che contesto, per chi? Questo ChatGpt ancora non lo può definire».

Limiti

L’AI ha avuto applicazioni nell’arte, ma con dei limiti: «Fatica a replicare lavori come il fumetto, che ha un processo creativo complesso - ha detto la graphic novelist Chiara Abastanotti -. Recentemente è stato pubblicato il fumetto di un’AI, ma dietro c’è stato ancora un grosso lavoro umano». E se imitando l’uomo se ne imitassero i pregiudizi? «Non è un caso che la maggior parte degli assistenti vocali abbiano voci femminili» sostiene l’attivista Greta Tosoni. Su digital humans e stereotipi c’è in effetti un dibattito: «Cos’ha più senso - chiede Nadia Busato -, una tecnologia neutra o una rappresentazione articolata che ci renda familiari le differenze?».

«Per ora si è sempre riprodotto l’umano sulla base di canoni quantitativi e del senso comune», ha spiegato De Brumatti. «Una sperimentazione interessante - ha concluso - è quella su digital human e assistenti in contesti medicali, ad esempio nella cura dei disturbi mentali: un ambito in cui come Neosperience stiamo facendo delle prove».

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