L’economia del navigare a vista

Tra fondi e bonus, piani e programmi i conti pubblici boccheggiano. Il grande assente rimane un vero progetto industriale per l’Italia
Mare in tempesta - © www.giornaledibrescia.it
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Le parole dell’Ufficio parlamentare rese pubbliche il 19 aprile sono icastiche: Superbonus e, in minor misura, gli incentivi di Transizione 4.0 «hanno inciso marcatamente sui conti pubblici lasciando una pesante eredità sul futuro». A conferma di ciò anche i numeri, con il peggioramento del debito pubblico nel 2023 (al 7,4% del Pil). Vi è poi tutta la partita dei fondi Pnrr e del nuovo Piano Transizione 5.0.

Senza aprire ulteriori fronti appare però chiaro che, a fronte di enormi afflussi di denaro nel sistema italiano, qualcosa non stia funzionando. Il problema degli incentivi a pioggia capaci di drogare il mercato era già emerso con il Piano Industria 4.0 e successivi. In preda all’euforia milioni e milioni di euro vennero spesi, anche futilmente, e ora lo spettacolo si ripete.

Il dubbio è che dietro a tutti questi piani e programmi, fondi e bonus, ci sia una grossa lacuna, la mancanza di una visione industriale per il Paese. Nella babele economica globale l’assenza di progettualità si trasforma in una rincorsa continua, uno stare a galla che sfocia in soluzioni emergenziali, non strutturali.

Il discorso di Mario Draghi alla due giorni di La Hulpe, sebbene focalizzato sull’Europa e non sul singolo Stato, punta il dito proprio contro questo modus operandi, in nome di un’unità economica e politica ma anche e soprattutto progettuale. «Il nostro processo decisionale e i nostri metodi di finanziamento sono stati concepiti per il “mondo di ieri”» ha sostenuto l’ex presidente della Bce, parole ancora più pregnanti se si pensa al ruolo che ha rivestito in Italia.

Già, l’Italia, Paese dove il discorso economico fa fatica a entrare nel dibattito politico, sempre in bilico tra ricerca del consenso e paura di perderlo. Ma è proprio in questo spazio, in un momento in cui le istituzioni pubbliche sovranazionali cercano una nuova centralità, che un «piano industriale nazionale» dovrebbe incastonarsi, non come un’opzione ma come fulcro per costruire il futuro.

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