Le gigafactory e il nanismo nel cervello

Il mondo non finirà, Covid o non Covid, con Putin o senza Putin, perchè anche le tempeste più perfette prima o poi si chetano. Ma - questo è certo - il mondo non finirà. Negli abissi dello sconforto e dello sconcerto che vediamo giorno dopo giorno, chi pensa ai prossimi tre-cinque anni va avanti, progetta, pensa, studia nuove cose, nuovi investimenti.
La Intelpensa di investire una ottantina di miliardi in Europa per fare una nuova fabbrica di sensori et similia. Le chiamano gigafactory, grandi fabbriche per il nuovo mondo, quello senza petrolio. Forse, ma forse, all’Italia toccherà un pezzetto di questo investimento: il packaging, ovvero l’impacchettamento, che è una cosa importante, intendiamoci, ma non è certo il cuore dell’investimento che andrà un po’ in Francia e il resto in Germania dove la Tesla ha annunciato sua volta l’avvio di una gigafactory per batterie.
L’altro ieri, poi, anche l’Audi-VW ha annunciato che sta valutando a sua volta dove fare le proprie gigafactory per batterie per le supercar e supermoto della Casa (Lamborghini-Ducati-Bentley).
L’Italia potrebbe anche essere prescelta, ma non è detto Lo dico sperando di essere smentito, ma non vorrei che - trattandosi di gigafactory - emergessero mal sopite posizioni come quando venne fuori la strabiliante contrarietà a far passare il tubo del metano in Puglia. Adesso nessuno ammette l’abbaglio, ma attorno a quel tubo ci siamo girati intorno anni. E qualche settimana fa in Toscana, per installare 9 pale eoliche (ripeto: 9, non 90 o 900) è stata battaglia.
Bisognerà pur rendersi conto che passare da un sistema all’altro qualche novità la cosa comporta, magari non bellissima, ma se vogliamo energia pulita dovremo rassegnarci a qualche pala in più (anzi: a molte pale in più). E così sarà per gigafactory o pannelli fotovoltaici. E questo al netto dell’attuale feroce emergenza energetica.
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