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La parità di genere fa bene al business ma a Brescia c’è ancora strada da fare

La gender equity dell’impresa sostenibile al centro dell’incontro di Csmt e In-Genere
Da sinistra Silvia Mangiavini, Silvia Preti e Alice Palumbo - © www.giornaledibrescia.it
Da sinistra Silvia Mangiavini, Silvia Preti e Alice Palumbo - © www.giornaledibrescia.it
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L’impresa sostenibile ha maggiori chances di trattenere risorse umane più qualificate e talentuose. L’ambiente di lavoro, dunque, o meglio la sua organizzazione e la capacità di attivare politiche realmente inclusive, orientate al gender equality e dotata, possibilmente, di una Carta dei valori che ne attesti la coerenza dei princìpi, possono davvero far la differenza, anche per lo sviluppo dell’economia del futuro, italiana e bresciana.

Tema che è stato analizzato nel secondo incontro del percorso «Inclusione ed Equità», moderato da Alice Palumbo e introdotto da Viola Nicolardi, nell’ambito del ciclo nato dalla collaborazione (e col patrocinio di Cdc, Consigliera di parità della Provincia di Brescia e di Regione Lombardia, e dell’Università di Brescia) tra Csmt-Innovative contamination hub e In-Genere, società benefit specializzata nella diffusione di una cultura improntata al diversity e all’inclusione, da poco entrata a far parte della rete di partner dell’hub Csmt-Officina Liberty.

I dati

A Brescia, spiega con l’aiuto dei dati (fonte Istat) Silvia Mangiavini, direttore generale Raffineria Metalli Guizzi e vicepresidente Confindustria Brescia, le donne sono ancora nettamente sotto rappresentate nella dimensione lavorativa: su un totale di 291.926 di persone che lavorano all’interno delle imprese bresciane, 108.734 appartengono alle «quote rosa» (37,25%), 183.193 sono uomini (62,75%); numeri addirittura inferiori (incide forse nella nostra provincia il fenomeno immigrazione) alla media nazionale (40, 52% per le donne) e regionale (40,82%).

Le figure più ricercate dalle imprese bresciane (secondo un’analisi realizzata sulla base di 34mila annunci) sono nell’86% dei casi operai e tecnici specializzati, a seguire con grande distanza (16%) impiegati amministrativi e, all’ultimo posto (8%), manager. Elemento predominante è la conciliazione vita-lavoro, che andrebbe supportata a livello di famiglia nel suo complesso.

Nel concreto

L’esperienza sul campo di Silvia Preti, human capital officer, business coach & Okr strategist all’interno di Cherubini Group, fa risaltare che «non si riscontra una vera differenza di efficacia tra i membri del team uomini e donne, in quanto prevale un mix di equilibrio; quello che impatta di più nel raggiungimento dei risultati credo sia piuttosto la disciplina, oltre alle competenze, l’essere in grado di declinare la propria creatività all’interno del rigore». In questo contesto entra in gioco il termine «Esg» (Environmental, social e governance), concetto-parola con cui abbiamo imparato a familiarizzare negli ultimi tempi.

«Quando un’impresa deve fare valutazione del suo adeguamento a tale strategia – specifica l’avvocato Marco De Paolis, specializzato in diritto societario –, metterà le persone al centro dell’organizzazione e sarà considerata particolarmente attrattiva se in grado di creare un ambiente di lavoro ed un employee engagement che trovano corrispondenza nella vita di tutti i giorni». Una scelta che parte «dalla testa», dev’essere fatta propria dal cda dell’impresa e calata nella prassi quotidiana adempiendo a parità di genere, formazione e partecipazione.

La parità di genere, ricorda il legale, trova tra l’altro applicazione nella legge 162/2021 e, soprattutto, nel successivo decreto 125 del 2022, che definisce i parametri per consentire alle imprese il conseguimento della relativa certificazione.

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