GdB & Futura

La decarbonizzazione alla prova economica della famiglia italiana

I costi aggiuntivi per fonti di energia verde possono creare disparità sociali che vanno prevenute
I costi della decarbonizzazione devono essere equi e non creare disparità
I costi della decarbonizzazione devono essere equi e non creare disparità
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Decarbonizzare sì, ma in modo socialmente sostenibile. Perché le politiche climatiche sono necessarie, ma i costi per realizzarle non possono pesare su famiglie e piccole imprese. È questo l'input che arriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Climate Change e firmato da tre ricercatrici dell’Università di Cambridge e dell’Università degli Studi di Brescia, che nell’ambito del progetto europeo Innopaths hanno condotto un’imponente indagine sugli impatti sociali di alcune misure per ridurre le emissioni di carbonio e salvaguardare così l’ambiente.

«Quando si disegnano le politiche, è fondamentale capire che ricadute avranno non solo sull’ambiente, ma anche sul lavoro, sulle famiglie e sulla competitività delle aziende - spiega la prof.ssa Elena Verdolini, docente di Economia politica presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia e affiliata al Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, che ha lavorato insieme a Cristina Peñasco e Laura Diaz Anadon -. Per questo motivo abbiamo deciso di analizzarle, con l’obiettivo di fornire uno strumento utile a studiosi e decisori politici». Sono più di settemila gli studi esaminati dalle tre ricercatrici, che utilizzando una metodologia di meta-analisi hanno confrontato l’influenza di dieci strumenti di politica climatica (forme di investimento, incentivi finanziari, standard di efficienza, interventi di mercato) su variabili come i costi, l’efficienza delle tecnologie verdi, la competitività delle imprese e l'equità.

Il risultato è stato scoprire che nella maggior parte dei casi i costi della transizione energetica tendono a gravare su piccole imprese e consumatori meno abbienti. Perché? «Questi soggetti hanno meno capacità di assorbire gli aumenti dei costi energetici - risponde Verdolini -. Si pensi alle tariffe feed-in: pagano i produttori di energia elettrica rinnovabile al di sopra delle tariffe di mercato, ma i costi associati alla fine ricadono sui consumatori perché risultano in aumento generalizzato dei prezzi dell'energia. E se si fanno esperienze negative di queste politiche aumenterà la resistenza dell’opinione pubblica al cambiamento».

Eppure un punto di svolta esiste. Lo studio infatti mostra che queste politiche possono essere progettate in modo da promuovere innovazione e nuove opportunità. Per esempio, le tariffe feed-in possono essere modulate in modo che siano prevedibili ma regolabili, i proventi delle tasse ambientali possono essere utilizzati per benefici sociali o crediti d’imposta, o ancora i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo possono essere disegnati in modo tale da essere indirizzati anche alle Pmi.

«Il fatto è che non esiste una soluzione univoca valida in ogni contesto - continua la docente bresciana -, per cui ogni misura va calibrata il più possibile sulla singola situazione socio-economica». Per aiutare studiosi e i decisori politici in questa direzione i risultati di questa ricerca sono pubblicati in un portale online accessibile a chiunque. «La neutralità carbonica è un fondamentale, ma ci possiamo arrivare se tutti condivideremo le nostre competenze assicurandoci che nessuno venga lasciato indietro».

 

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