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La commissaria Gabriel: «Sovranità tecnologica, l'Europa cresce ma ancora rincorre»

Faccia a faccia con la referente a Bruxellese per innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù
Mariya Gabriel è commissaria europea per Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù - Foto Commissione europea
Mariya Gabriel è commissaria europea per Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù - Foto Commissione europea
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Innovazione e ambiente al centro, perché nei prossimi anni il successo o meno dell’Europa nello scacchiere mondiale passerà per queste strade. Non a caso il programma della Commissione europea Horizon 2020, unitamente al Green Deal, punta con decisione verso queste direzioni, per colmare quelle lacune che il continente ancora sconta nei confronti di altri Paesi del mondo, Stati Uniti su tutti. Ne abbiamo parlato con Mariya Gabriel, commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù.

Cominciamo col fornire una definizione di innovazione.

Al livello più elementare innovare significa sviluppare nuovi prodotti, processi o modelli commerciali che rispondano alle esigenze dei consumatori. A un livello più ampio e più ambizioso significa affrontare le sfide globali mediante nuovi modi di fare le cose. In questo senso la Commissione ritiene che l’innovazione sia condizione necessaria per guidare una ripresa sostenibile e resiliente, accelerare le transizioni verde e digitale e garantire la sovranità tecnologica dell’Europa. Oggi innovare significa anche mettere in collegamento i vari attori che costituiscono il cosiddetto «triangolo della conoscenza», ricerca, imprese e istruzione.

Qual è la situazione europea?

In Europa le imprese si trovano ad affrontare una sfida particolare, alla quale altre regioni del mondo hanno già risposto più efficacemente: crescere e diversificare in situ oltre la fase di avviamento, per dare vita ai cosiddetti «unicorni» (startup dal valore superiore al miliardo di dollari ndr). Importante iniziativa in quest’ottica è stata l’istituzione del Consiglio europeo per l’innovazione (Cei).

Il Cei ha gettato un solido ponte per attraversare indenni la cosiddetta «valle della morte», vale a dire la mancanza di finanziamenti tra la parte dimostrativa e quella di commercializzazione. Quest’anno il Consiglio fornirà quasi 1,7 miliardi di euro alle imprese che si occupano di tecnologie di interesse strategico europeo e determinate a espandersi e diversificare.

Quali sono i nostri punti di forza?

L’Europa si trova in una posizione ideale per cavalcare l’attuale onda di innovazioni. Con il 7% della popolazione mondiale l’Ue è responsabile del 25% di tutte le pubblicazioni e di tutti i brevetti che possono contribuire alla transizione verde. È inoltre importante sottolineare che l’Europa vanta un sano panorama di startup e il numero di «unicorni» è quasi raddoppiato nel 2021. Nonostante ciò ci comportiamo meno bene rispetto ai principali concorrenti internazionali (in special modo gli Stati Uniti ndr). Ecco un altro motivo per cui l’istituzione del Cei è così importante per la competitività e la sovranità tecnologica.

Ci sono perciò criticità da affrontare.

Il rendimento dell’Ue in termini di innovazione è migliorato negli ultimi anni. L’ultima edizione del quadro europeo di valutazione mostra che tale rendimento è aumentato del 12,5% dal 2014, in particolare grazie a forti aumenti della penetrazione della banda larga, delle spese di capitale di rischio e delle co-pubblicazioni scientifiche internazionali. La digitalizzazione dell’economia europea non ha tuttavia visto una progressione omogenea all’interno degli Stati membri e tra uno Stato membro e l’altro. La Commissione riconosce che il crescente digital divide è motivo di preoccupazione dal punto di vista della coesione economica.

Quali contributi possono apportare le singole realtà locali?

La cooperazione transfrontaliera e intersettoriale è la chiave per la riuscita di un ecosistema dell’innovazione. Il potenziale di un ambiente paneuropeo dell’innovazione dipende innanzitutto dagli attori locali e dalle risorse regionali, che dovrebbero essere integrate in una più ampia rete di conoscenze e talenti. Importante in questo senso il lavoro dell’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (Eit), che in Italia ha sede al Centro scientifico e tecnologico di Trento.

Stiamo facendo abbastanza per mettere l’innovazione in ottica green?

Ricerca e innovazione sono due elementi fondamentali per numerosi settori chiave del Green Deal europeo, come sistemi energetici, edilizia, industria, mobilità: devono dunque guidare, orientare e accelerare il programma di riforme. Per questo almeno il 35% del bilancio di Horizon sarà destinato ad attività connesse al clima, per fare dell’Europa un continente più sano, più inclusivo e resiliente, fissando obiettivi realistici basati sull’impatto. Altro strumento per realizzare la transizione verde e digitale sono i partenariati per la ricerca e l’innovazione, per i quali nel periodo 2021-2027 sono previsti 6,5 miliardi.

In aprile è stata a Brescia. Cosa pensa della città?

È stato un grande piacere visitarla. L’università degli Studi è un ottimo esempio di istruzione superiore europea: in soli quarant’anni si è affermata come centro di istruzione e ricerca dinamico, tra le migliori 100 giovani università del mondo. Ogni città di successo ha bisogno di una comunità della conoscenza forte e appassionata e ritengo che l’università bresciana svolga un ruolo importante in questa vivace comunità.

La città è affascinante grazie al suo bacino di talenti e al suo grande potenziale di contribuire alla promozione dello spirito e dei valori europei. È una vera comunità della conoscenza, ambasciatrice della scienza, dell’istruzione e dell’innovazione.

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