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Isinnova: un po' genialoidi, un po' ingegneri, comunque visionari

Cristian Fracassi e il suo team lavorano su 40 progetti. E adesso fanno un accordo sulla AI
La squadra. Cristian Fracassi (in basso, il primo da sinistra) insieme al team Isinnova - © www.giornaledibrescia.it
La squadra. Cristian Fracassi (in basso, il primo da sinistra) insieme al team Isinnova - © www.giornaledibrescia.it
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«Le idee, senza la loro esecuzione, sono allucinazioni». So che la cosa ha il sapore dello slogan. Ma l’ha detta, nientemeno, che Thomas Alva Edison (più di mille brevetti in tasca). E quindi la cosa ha forse un suo senso. Il memo del vecchio Edison campeggia ben scritto su una parete al sesto piano del matitone a BresciaDue, sede di Isinnova.

È qui che abitano Cristian Fracassi e quelli del team di Isinnova, azienda a dir poco innovativa, nel senso che di mestiere loro fanno - nientemeno - che gli inventori, ovvero cercano di trovare un’applicazione ad una buona idea, cercano di trasformare in una cosa utile un’idea, sono una sorta di ufficio Ricerca-Sviluppo-Applicazioni a spettro ampio. Detta altrimenti: cercan di fare business.

Converrete che è un mestiere piuttosto singolare. Un po’ ingegneri, un po’ genialoidi, un po’ visionari, un po’ imprenditori. In Isinnova per ora sono in sei e sui tavoli stanno seguendo una quarantina di progetti, di potenziali buone idee da trasformare in sane applicazioni. Il mercato pare esserci. 130 mila euro di fatturato nel 2016, il raddoppio lo scorso anno e quest’anno - fatti i debiti scongiuri - si punta nientemeno che a intravvedere quota 1 milione.

Inventori in proprio e per conto terzi nel senso che Cristian Fracassi non si formalizza. Se un’azienda ha un problema e lui gli presenta la soluzione, il brevetto potrà avere anche il nome dell’azienda. Pazienza. Un po’ meno gloria e si spera un po’ più di fatturato. Si progetta un po’ di tutto, sulla scorta di quel che il mercato chiede. Avete presente quella retina che è d’obbligo sulle auto se trasportate un cane, quella che deve separare la bestiola dal guidatore? Ecco: qui ne hanno ideata di un nuovo tipo per conto di un’azienda del settore. Oppure, in proprio, hanno ideato un sistema costruttivo a mattoni in legno tipo-Lego che in poche ore consente di allestire una casa o un ricovero di emergenza.

Oppure ancora - e qui il livello sale - un sensore che misura in tempo praticamente reale i danni di un terremoto. Ne sentiremo parlare. L’idea e il prodotto ha convinto un gruppo come la Lonati ad investirci una milionata. Un primo grande gruppo italiano lo vuole testare. In sostanza: un sistema (sensore più software) che, a basso costo, fa una mappatura dei danni dopo un terremoto. Non dà l’allerta prima del terremoto, ma perlomeno misura, edificio per edificio, che danni si sono avuti.

E adesso c’è dell’altro. E l’altro è un accordo fatto in queste settimane con la Divisible Global, un gruppo di Milano che da cinque anni sta sviluppando James, ovvero un sistema di intelligenza artificiale applicata al miglioramento del processo decisionale, una sorta di manager virtuale - come dice Cristian Fracassi - «in grado di aiutare gli imprenditori a prendere decisioni sull’azienda in modo più consapevole».

Il tema è decisamente curioso. Facciamo un esempio. Domanda a James: quante nuove figure dovrei assumere per avere un aumento del fatturato del 10%; oppure: quante ore-uomo devo dedicare al controllo di qualità per ridurre del 5% i resi per difetti? James risponde con una affidabilità fra il 75% e il 95% sui tempi brevi (3-12 mesi), se si va più in là l’affidabilità cala.

Domanda a Fracassi: ma James è una vicenda virtuale, Isinnova per definizione tenta di fare applicazioni concrete ad idee per definizioni astratte. Che c’entrate voi? «La sfida è questa. Noi siamo gente concreta, esperta in soluzioni tangibili. E quindi l’idea di fondo è di applicare le capacità di James alle macchine e quindi, e in particolare, alla manutenzione predittiva. Se James è così affidabile su previsioni così ampie, potrà esserlo (con i dovuti accorgimenti) anche sulle macchine, sulla ottimizzazione del ciclo produttivo. Banalmente: meglio fare 90 o 110 pezzi all’ora? Dipende. La risposta immediata sarebbe 110, ma è possibile che per fare 110 pezzi ci siano spese sproporzionate. Per noi - dice Fracassi - è un nuovo campo da esplorare».

E per concludere: se avete una qualche idea che ritenete potenzialmente «potabile» potete contattare Cristian e il suo team a info@isinnova.it.

 

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