I videogame sono una cosa seria

Il gioco è una cosa seria, tremendamente seria, anche sotto il punto di vista economico. Le parole del pedagogista tedesco Jean Paul calate nel mondo del business non suonano così strane se si vanno a vedere i numeri di un settore che sta vivendo un vero e proprio boom.
Secondo i dati forniti da Newzoo, azienda di consulenza specializzata in questo specifico ambito, nel 2022 il mercato mondiale ha toccato quota 92,3 miliardi di dollari, in flessione del 2,2% sull’anno precedente. Non tragga in inganno il calo: nel 2020 e nel 2021 il settore ha beneficiato degli effetti della pandemia e delle conseguenti chiusure. Resta il dato, confermato anche dalle grandi operazioni di acquisizione di questi ultimi tempi, su tutte la «spesa» di Microsoft che per circa 70 miliardi di dollari nel 2022 si è assicurata la software house Activision-Blizzard.
E a fronte di questi numeri una riflessione è d’obbligo. Lo sviluppo sempre più veloce di tecnologie immersive (si prenda per esempio il nuovo visore di realtà virtuale firmato da Sony per Play Station) e il contestuale rinnovato appeal dei videogame in fasce d’età sempre più ampie, trainato anche da serie tv di successo quali The Last of Us, rendono il mercato uno dei più vivaci sotto il profilo economico.
A ciò si aggiunga una marcata tendenza a mischiare gaming e mondo del cinema, con attori che prestano il volto a grandi titoli, su tutti Norman Reedus, Mads Mikkelsen e Léa Seydoux in Death Stranding del «guru» Hideo Kojima, e sceneggiatori chiamati a scrivere trame sempre più complesse e coinvolgenti.
Tenuto conto di tutto ciò ridurre i videogame a semplice vezzo ludico è un errore: il mercato è molto vivo e acquista ogni giorno nuove sfaccettature. Minecraft per esempio, il gioco più venduto al mondo con 238 milioni di copie, viene quotidianamente utilizzato per la formazione scolastica. Giocare è infatti una cosa davvero seria.
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