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Guardo, imito e imparo: la rivoluzione dei neuroni a specchio

Scoperti trent’anni fa dall’università di Parma: sono destinati a cambiare l’approccio alla psicologia
I neuroni a specchio si trovano nelle regioni parietali frontali inferiori - © www.giornaledibrescia.it
I neuroni a specchio si trovano nelle regioni parietali frontali inferiori - © www.giornaledibrescia.it
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«I neuroni a specchio saranno per la psicologia quello che il dna è stato per la biologia» ha detto Vilayanur S. Ramachandran, conosciuto a livello internazionale per il suo lavoro nei campi delle neuroscienze del comportamento e della psicofisica. E non è l’unico scienziato a ritenere che i neuroni a specchio rappresentino la scoperta più importante del decennio in questo specifico ambito di ricerca.

Il tema è affascinante ed è stato oggetto anche di una lectio magistralis tenutasi al Collegio Lucchini di Brescia, con relatore Giovanni Buccino, allievo del celebre neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e membro del team di scienziati che ha scoperto i neuroni a specchio, dal titolo «In te mi specchio. Neuroni, empatia e funzioni cognitive». Intanto è necessario definire perché questi neuroni vengono definiti «a specchio»: la scelta del nome evoca proprio la loro capacità di «riflettere, dirspecchiare» ciò che vedono.

Si tratta di particolari neuroni collocati nelle regioni parietali frontali inferiori del cervello, che si attivano e reagiscono sia se siamo noi a compiere un’azione, sia se osserviamo un’azione eseguita da altri (in particolare da conspecifici cioè appartenenti alla stessa specie).

Per esempio, raccogliere un oggetto da terra. Supponiamo di seguire in tv un incontro di boxe, di tennis o altro: vi sarà capitato di rispondere involontariamente ai movimenti degli atleti, ricreando così una perfetta sincronia tra azione ed osservazione. È più meno lo stesso di quel che accade con i neuroni a specchio, che si attivano selettivamente in presenza di un’azione, «rispecchiando» quindi ciò che avviene nella mente del soggetto osservato, come se fosse l’osservatore stesso a realizzarlo.

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Curiosamente (ma non tanto, se consideriamo la genesi di altri esperimenti fondamentali per i progressi sull’apprendimento), i neuroni a specchio sono stati individuati osservando il comportamento delle scimmie durante uno studio compiuto sulla corteccia premotoria, negli anni ’80 e ’90, dal gruppo dell’università di Parma coordinato dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti.

Si narra che, mentre un ricercatore prendeva una banana da un cesto di frutta preparato per gli esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena abbiano reagito, mentre l’animale stesso non si era mosso, contrastando - almeno apparentemente (ma successivi test valideranno l’ipotesi) - la convinzione che quei neuroni si attivino soltanto per funzioni motorie. Nel 1995, lo stesso gruppo di ricerca dimostrerà infatti, utilizzando la stimolazione magnetica transcranica, l’esistenza nell’uomo di un sistema molto simile a quello osservato nella scimmia qualche anno prima.

Da allora, la funzione dei neuroni a specchio è stata al centro di molte ipotesi teoriche, che ne hanno evidenziato la valenza per la comprensione delle azioni altrui, e quindi per l’apprendimento attraverso l’imitazione, in ambito sociale, educativo o sportivo; per il contributo che possono dare alla dottrina della conoscenza e delle origini del linguaggio, ma anche per meglio spiegare alcune patologie legate alla comunicazione, come l’autismo. La cinematerapia ha anche approfondito come sia possibile il meccanismo della immedesimazione, alla base dell’incantesimo del grande schermo.

Del resto, già Aristotele aveva intuito il ruolo della «catarsi» per chi assisteva, identificandosi coi personaggi, alle maestose messe in scena della tragedia greca, e ben 1500 anni prima che si iniziasse a parlare dei «neuroni dell’empatia».

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