Che fine ha fatto il metaverso
Una semplice domanda: che fine ha fatto il metaverso? Fino a pochi mesi fa non passava giorno che su qualche giornale, in qualche programma tv e persino nelle conversazioni al bar non si parlasse di questa ultima frontiera, che mischia diverse tecnologie (in primis la realtà virtuale) per creare uno spazio digitale.
Erano i giorni in cui la visione messianica di Mark Zuckerberg, che non a caso cambiò il nome della società da Facebook in Meta per rafforzare la sua convinzione in questo nuovo mondo «perfetto», sembrava dovesse davvero rappresentare il futuro dell’umanità. Con tutti i pregi (pochi) e i difetti (tanti) del caso. L’entusiasmo però si è raffreddato e il metaverso ne esce forse meglio di prima perché appare per quello che è: solo un nuovo frutto dell’ingegno umano, che della realtà spesso non si accontenta e prova a crearne di nuove continuamente.
Sia ben chiaro però, ciò che ha preso il via non si è di certo fermato, semmai fa meno notizia. Oggi siamo abituati a sentire costantemente parlare di Intelligenza artificiale, tecnologia che proprio nel metaverso può tra l'altro esprimersi in tutta la sua pienezza. E di metaverso non si sente nemmeno l’eco.
Eppure Meta continua imperterrita lungo la sua strada, come dimostra anche l’accordo con Luxottica per la produzione di occhiali «smart» a marcio Ray-Ban. Anche l’Europa non sta ferma a guardare e sta elaborando una strategia «su Web 4.0 e i mondi virtuali», come viene definita, per non farsi trovare impreparata sotto il profilo normativo.
Perché il metaverso, o i metaversi per essere più precisi, sarà quasi sicuramente presto una realtà con la quale sia i cittadini sia le aziende dovranno confrontarsi. Non sarà verosimilmente quel luogo utopico immaginato da Zuckerberg ma di certo sarà. E come al solito il consiglio è lo stesso: non ignorare ciò che accade intorno a noi, anche se non lo si condivide.
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