Economia

Società di benefit: la sostenibilità diventa parte del business

Nel Bresciano il modello adottato da una quarantina di realtà. Tra i vantaggi: reputazione ma anche fisco. Consulta la mappa interattiva
Sono in crescita le aziende che decidono di diventare società di benefit
Sono in crescita le aziende che decidono di diventare società di benefit
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Ad oggi le società di benefit iscritte al registro camerale bresciano sono più di una quarantina, ma il numero è destinato a crescere. Un’ipotesi avvalorata non solo dall’andamento nazionale (secondo Assobenefit, in Italia nel 2021 hanno toccato quota 1400, tre volte quelle del 2020) ma anche da molti professionisti del settore che, come il vicepresidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei commercialisti, il bresciano Michele De Tavonatti, ritengono che costituiranno una sorta di «sbocco fisiologico».

«Economia circolare e sostenibilità sono una prospettiva di cui ormai non si può non tenere conto, per cui ritengo che le società benefit costituiranno la prospettiva futura verso la quale si andrà, il paradigma di quel concetto di “successo societario sostenibile” che sempre più farà riferimenti non solo alle grandi organizzazioni ma anche alle piccole e medie imprese», esordisce De Tavonatti per il quale il tema risulta di interesse anche per la sua categoria. «Noi commercialisti ci stiamo attivando su questo fronte, come testimoniato anche dagli approfondimenti messi in campo dall’Ordine regionale: è una materia che merita approfondimenti ed apre un percorso culturale».

L’identikit

Scorrendo l’elenco delle società benefit iscritte al registro camerale bresciano, una cosa salta all’occhio. «Qualcunque società profit, di qualunque settore, può costituirsi o trasformarsi in una benefit - tira corto De Tavonatti -: non ci sono prerequisiti da rispettare, ma solo la necessità di indicare nell’oggetto sociale il beneficio comune perseguito, con un bilanciamento dell’interesse dei soci e del beneficio comune». E spulciando l’elenco si trova un po’ di tutto, dalle società di consulenza (ad esempio In-Genere o Netzero) alle imprese della meccanica. Tra queste Omb Saleri, specializzata nella lavorazione dei metalli, Acquaviva di Travagliato, che opera nella fornitura di acqua in boccioni (Keminova di Cellatica, attiva nella cosmetica, che ha avviato il percorso).

«Certo il peso che una benefit ha se è una società di consulenza o di servizi è molto diverso da quello che ha una realtà produttiva - fa notare De Tavonatti -: la vera rivoluzione, in termini di risultati collettivi, si avrà quando le grandi reltà del manifatturiero inizieranno a diventare benefit, perché questo costituirà la messa a terra di percorsi interni di sostenibilità, sociale e ambientale, che daranno dei frutti. Tanto più in un territorio come il nostro».

Il percorso

Ma come si fa a diventare società benefit, e quali vantaggi e svantaggi ci sono? «L’iter burocratico in sè è abbastanza semplice - spiega De Tavonatti -: prima di tutto bisogna individuare e indicare l’interesse comune perseguito. Poi, scegliere un soggetto interno che si occupi di verificare il perseguimento di tale interesse ed infine redarre ogni anno una relazione di impatto. È chiaro però che, soprattutto per realtà produttive, questo percorso implica passaggi importanti dal punto di vista della gestione dei processi, passaggi che devono essere misurati sulla base di standard di valutazione specifici. In questo caso i costi sostenuti per la trasformazione potrebbero essere più importanti che per una società di servizi».

Divenire società benefit, infatti, ha anche un vantaggio fiscale. «Il Decreto Rilancio prevede agevolazioni fiscali, sotto forma di credito d'imposta, nella misura del 50% dei costi sostenuti inerenti alla costituzione o alla trasformazione» spiega De Tavonatti che però individua nella «reputazione» la principale prerogativa per le aziende. «Oggi il consumatore è sempre più informato se può scegliere, sceglie realtà più sostenibili». Tra le criticità, invece, cita la normativa e la relativa vigilanza. «Di base - dice - il concetto di “bene comune” non è normato nel dettaglio, così come gli standard di valutazione, ciò complica la possibilità di vigilanza di Antitrust e Agicom».

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