L’ecatombe dei bar: in tre anni chiusi 253 esercizi pubblici

Il Bresciano è terra di bar. Il business per chi sa lavorare dietro al bancone non è mai mancato e continua a non mancare. I due anni difficili della pandemia però ne hanno messi in crisi molti e in molti casi, anche tra chi ha resistito, il «cassetto» si è ridotto. Nel folto gruppo dei bar bresciani, che a fine 2019 erano quasi 4.000, c'è anche chi ha abbassato la saracinesca, travolto da spese e tasse che hanno continuato a pesare anche a fronte degli aiuti dello Stato e nonostante le molte settimane in cui non è stato possibile ricevere clienti e le ancor più numerose settimane in cui la clientela si presentava (libera dai divieti) ma in numero drasticamente ridotto rispetto al solito.
I numeri
Tra la città, le valli, la pianura e i laghi - come testimoniato dai dati della Camera di commercio di via Einaudi – tra 2020 e 2021 hanno chiuso 253 esercizi, riducendo la presenza dei bar dai 3.917 contati a dicembre 2019 ai 3.664 di dicembre 2021. A pagare il prezzo maggiore è stato il capoluogo, colpito oltre che dalla minor presenza tra i tavolini dei residenti anche dall’assenza delle decine di migliaia di persone che ogni giorno entrano in città per lavoro, studio o altre cose, e si rivolgono ai banconi per caffè, pranzi veloci e aperitivi. Nel nostro capoluogo in 24 mesi si sono abbassate quasi 70 saracinesche, per la precisione 67, erodendo sia il tessuto delle periferie che quello del centro storico, e riducendo quindi il gruppone da 898 a 831 unità.
Il trend negativo non è stato differente in quasi nessun paese o cittadina della nostra vasta provincia, e salvo rari casi, qualche saracinesca si è abbassata ovunque. Sempre secondo i recenti dati camerali, dei cinquanta Comuni bresciani che contano più di 20 bar ben 39 hanno visto ridursi la presenza delle attività tra vie e piazze; 4 non hanno subito perdite; 7 le hanno viste incrementare.
Chi sale e chi scende
Il conto più salato lo hanno pagato i centri di Gussago e Travagliato, in calo di 7 unità: i primi passati da 33 a 26 e i secondi da 31 a 24. Perdite significative hanno riguardato Mazzano (da 31 a 25), Pian Camuno (da 24 a 19), Ghedi (da 38 a 33) e Calvisano (da 22 a 17). I laghi hanno retto l'impatto. A Desenzano del Garda i bar erano 94 e 94 sono rimasti; a Salò si è scesi da 62 a 60; a Sirmione da 56 a 54; a Toscolano da 31 a 29 e a Lonato da 39 a 37. Cambiando acque, Iseo è passata da 54 a 50, mentre la perla della Valcamonica Ponte di Legno ne ha persi solo due (da 29 a 27).
Dove crescono
Non mancano i paesi controcorrente: i bar sono cresciuti a Borgosatollo passando da 17 a 22. Gli altri in positivo sono Concesio (da 34 a 36), Erbusco (da 23 a 25), Flero (da 20 a 21), Leno (da 32 a 33), Manerba (da 30 a 32) e Roncadelle (da 22 a 23). Come osservato dal presidente di Confcommercio, Carlo Massoletti, «il tessuto dei bar ha patito la già forte competitività dovuta a presenze di attività molto consistenti in alcune zone cittadine e dei paesi, non solo turistici. A esasperare la crisi ci si è messo un contesto difficile, fatto in alcuni casi di costi ridotti all'osso che non consentono di sbarcare il lunario».La situazione bresciana è specchio fedele di quella nazionale, dove negli ultimi due anni i default sono stati 7.000, a fronte di 162.900 attività ancora presenti. «La tendenza si è accentuata ma il calo era già in atto prima del Covid - spiega la presidente di Confesercenti Barbara Quaresmini - con bar che non resistevano più di 2-3 anni. Erano probabilmente eccedenze, con poche basi qualitative e poca solidità finanziaria. Per l'anno che viene si rischiano altrettanti problemi, visto che ritornano i pagamenti di Tari, plateatici e mutui (fine della moratoria). È importante fare cultura d'impresa, in modo che l'imprenditore sappia quello che sta facendo».
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