Lavoro, in un anno 160mila contratti: politiche attive scudo alla precarietà

Si contano 542mila occupati nel Bresciano, di cui il 59,5% maschi e con un gap della componente femminile che si è allargato durante la pandemia. Nel 2021, si è rafforzato il trend che vede nel lavoro dipendente lo zoccolo duro dell’intero sistema occupazionale (80,2%); mentre ragionando per settori 305mila persone sono impiegate nel terziario, 182mila nell’industria manifatturiera, 39mila nelle costruzioni e 20mila nell’agricoltura; i disoccupati si attestano stabilmente intorno ai 28mila.
L’anno scorso sono state avviate al lavoro 160mila persone, di cui 49mila migranti, a dimostrazione di una grande mobilità in ingresso e in uscita: poco più della metà ha meno di 35 anni, un terzo è concentrato nella fascia 35-49 anni e un sesto, il 17%, ha più di 50 anni.
Tre nuovi contratti su quattro sono a tempo determinato, somministrazione, a progetto. Sono alcuni indicatori, frutto della ricerca «Il mercato del lavoro a Brescia» che Elio Montanari ha illustrato nel convegno di Cisl Brescia «Mercato e politiche attive per il lavoro. Un cambio di prospettiva», dove il segretario generale Alberto Pluda ha focalizzato il tema: come ripensare in maniera efficace e sinergica formazione e riqualificazione dei lavoratori, a fronte delle criticità del mercato del lavoro. La trasformazione in atto.
«Bisogna fare i conti con le trasformazioni in atto - osserva Pluda -. Con la transizione ecologica, la produzione dell’auto elettrica richiederà un 20% in meno di manodopera; le tecniche sostenibili nell’industria siderurgica porteranno ad un impiego del 20% dell’attuale forza lavoro. È necessario intervenire, per evitare pesanti conseguenze sociali». Esperienze concrete di gestione delle politiche attive sono state condivise dal sindacato con i 170 dipendenti dell’ex gruppo L’Alco di Rovato e i 150 lavoratori delle ex Industrie Pasotti in Valle Sabbia.Incontro domanda-offerta
Fondamentale il patrimonio di «skills» dei lavoratori, e qui si innervano alcune questioni cruciali, come il «mismatch» tra domanda e offerta, l’ancora basso livello di istruzione e il rapporto deficitario tra scuola e impresa. Perciò politiche attive e formazione sono un’assoluta priorità, come evidenziato nella tavola rotonda, animata da Matteo Berlanda, ad Ial Lombardia, Maurizio Del Conte, ordinario di Diritto del lavoro e presidente Afol, l’editorialista del Corriere della Sera Dario Di Vico, Paolo Reboni segretario Cisl Brescia, Francesco Seghezzi, presidente Adapt e con l’assessore regionale alla Formazione, Melania Rizzoli.
Un patto per il lavoro
«Anche nell’Osservatorio nazionale sulla contrattazione si parla poco di politiche attive - nota Reboni -. Siamo ancora con la testa sugli ammortizzatori sociali. La nostra cassetta degli attrezzi va rinforzata e occorre rinverdire anche a Brescia un patto per il lavoro». Soprattutto, si tratta di attivare un coordinamento tra i diversi attori in campo, per sfruttare al meglio tutte le opportunità e le risorse a disposizione, anche dal Pnrr. «Se non c’è integrazione, non si va da nessuna parte - sottolinea Del Conte -: si avverte una mancanza chiara di ripartizione, dentro una macchina complessa come quella dei servizi per il lavoro».
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Il nodo delle competenze
Le difficoltà di un incontro strutturato tra domanda e offerta hanno radici storiche e culturali. Paradossalmente, non abbiamo abbastanza lavoratori: «Il calo di un milione di giovani - specifica Seghezzi - è compensato da un milione di migranti, che utilizziamo per fare dumping contrattuale. C’è poi un problema di individuazione dei profili, per competenze medio-basse e alte». Nella regione si stima un fabbisogno lavorativo di 900mila unità dal 2021-2025: 180mila persone all’anno, di cui 110mila che usciranno dai percorsi scolastici e restanti 70mila che «dovremo andare a recuperare tra disoccupati, reddito di cittadinanza e mobilità territoriale». Dice Enzo Mesagna, segretario Cisl Lombardia: «Chiave di volta sono le competenze. Cambiamenti veloci e radicali rischiano di mettere fuori gioco migliaia di lavoratori, se non fanno politiche attive per la riqualificazione».
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