Agricoltura, Garbelli: «L’italian sounding può aprire nuovi mercati»

La competitività dell’agricoltura è una partita sempre più globale. Dove i prezzi si fanno sui mercati internazionali e sono molti i player emergenti, in grado di dettare le regole. L’Argentina è uno di questi. Ed è in questo Paese dalle grandi contraddizioni, scavato da due decenni di iper-inflazione (ora finalmente domata) che ha preso le mosse la missione della delegazione di imprenditori agricoli, guidata dal presidente di Confagricoltura Brescia, Giovanni Garbelli, affiancato dai vicepresidenti Oscar Scalmana e Luigi Barbieri e dal numero uno nazionale dei suinicoltori Rudy Milani.
«L’Argentina è sette volte più estesa dell’Italia, che mostra tante contraddizioni, ma possiede grandi potenzialità. Sta attraversando una fase nuova: il governo Milei spinge le imprese ad investire nel Paese per aumentare l’export di prodotti agricoli».
Mentre in Europa discutiamo, l’Argentina ha messo al centro la spinta produttiva.
«Se non sapremo incrementare la produttività, visti i prezzi del mercato, diventerà impossibile per i nostri agricoltori rimanere sul mercato. La regione vitivinicola di Mendoza che abbiamo visitato ne è un chiaro esempio: grandi gruppi europei e fondi internazionali hanno fatto importanti investimenti. La strategia alla base è completamente diversa: abbiamo visitato la cantina Chandon che da sola produce 40 milioni di bottiglie di bollicine metodo classico, mentre ad esempio l’intera produzione di Franciacorta supera di poco i 19 milioni di bottiglie. L’obiettivo in Argentina è un prodotto che si rivolge al grande pubblico, al mercato mondiale, che non guarda unicamente alla qualità, ma punta su grandi numeri».
Con il segretario generale della Camera di Commercio italiana a Buenos Aires, Claudio Farabola, avete parlato dell’accordo commerciale Mercosur. Perché Confagricoltura è da sempre contraria questa intesa?
«Perché rischia di penalizzare pesantemente il comparto agricolo italiano ed europeo, già messo a dura prova da sfide economiche e ambientali significative. Gli accordi di libero scambio sono doverosi se vogliamo crescere come sistema Paese e come Europa. Non si può certo pensare ad un futuro agricolo non programmato. Il tema è delicato, lo stesso direttore della Camera di Commercio italiana in Argentina ha riconosciuto come Argentina e Europa viaggiano su binari diversi: in Sud America non ci sono i sussidi della Pac, ma l’impresa è completamente libera di rivolgersi al mercato con qualsiasi mezzo, con qualsiasi strumento».
Cosa vuol dire quando afferma qualsiasi mezzo?
«Significa agricoltura moderna e digitalizzata, ma soprattutto genetica spinta. Significa mais Ogm, l’utilizzo di fitofarmaci, nessuna restrizione sotto il profilo della sostenibilità ambientale. Questo si traduce in prodotti agricoli a prezzi decisamente più bassi. Per noi è molto penalizzante: c’è un tema di reciprocità che va affrontato. È necessario fare attenzione ai decreti attuativi dell’accordo: il presidente Massimiliano Giansanti, eletto alla presidenza del Copa, sta lavorando proprio in questo senso a favore degli agricoltori europei e perché i nostri concorrenti siano allineati agli standard europei su sicurezza alimentare e condizioni di lavoro».
Tema Ogm: che gap rappresenta per la nostra agricoltura?
«È una questione da affrontare seriamente. I prodotti Ogm ormai sono seminati in Argentina dagli anni ’90: sono sicuri e non hanno impoverito biodiversità e natura; consentono di avere dei prodotti più accessibili, di qualità addirittura superiore alla nostra. Come ha spiegato Farabola, dell’ente camerale italiano a Buenos Aires, consentono di produrre 100 ettari di mais con solo 7 giornate di lavoro».
Se guardiamo al modello argentino sulla genetica cosa l’ha maggiormente colpita?
«Mi hanno colpito le coltivazioni di mais nelle zone aride. Gli argentini hanno ampiamente sperimentato una varietà genetica del mais resistente alla siccità. Penso al piano di investimenti per dotare la provincia di Brescia di bacini e risolvere il tema della siccità e dei cambiamenti climatici: con il mais resistente quanti soldi si potrebbero risparmiare?».
Che speranze nutrite nei confronti della nuova Commissione europea?
«Nel 2020 il Covid ha confermato come l’agricoltura resti un pilastro fondante della nostra economia. Le proteste degli agricoltori ed il lavoro incessante della nostra organizzazione hanno fatto sì che la Commissione europea si sia resa conto delle storture o perlomeno delle accelerazioni troppo brusche che ha fatto su alcuni temi».
Di quali accelerazioni parla?
«Mi riferisco ad esempio al Green Deal. Un piano che va totalmente ripensato e non lo chiedo sono gli agricoltori. Il percorso graduale verso la sostenibilità ambientale deve coesistere con la sostenibilità economica».
E il nuovo commissario europeo all’Agricoltura?
«L’auspicio è che a fine febbraio presenti un nuovo piano strategico più vicino al nostro modello produttivo. Dobbiamo capire la strada da seguire: se vivere di prodotti di nicchia di altissima qualità oppure liberare i nostri imprenditori per collocare i nostri ottimi prodotti nel mondo».
Dagli incontri con i rappresentanti argentini abbiamo compreso come l’agroalimentare italiano sia ancora sconosciuto in quest’area del mondo.
«È evidente che anche in questo senso bisogna fare un grande lavoro. Il Made in Italy si racconta con l’agroalimentare, con la moda, con l’automotive, tutte cose che rendono grande l’Italia. È chiaro che dobbiamo rivolgerci a quelle economie che hanno capacità culturale ed economica di apprezzare i prodotti, quindi ai mercati occidentali. Ma c’è un’altra questione da tenere presente. Ed è quella dei prodotti Italian sounding: La Chandon, di proprietà di Moët & Chandon ha fatto un prodotto che, come etichetta come racconto, è molto simile allo champagne, ma da un punto di vista qualitativo è sicuramente inferiore. Serve a preparare un mercato come quello argentino al prodotto futuro, allo champagne, che arriverà quando la società sarà pronta».

Quindi nessuna demonizzazione dell’Italian sounding?
«Va probabilmente costruito con un modello di italianità, che possa consentire non solo di far vedere i nostri prodotti, di raccontarli in Tv, ma anche probabilmente iniziare ad abituare il gusto dei futuri consumatori».
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