A Brescia le donne guadagnano in media il 29% in meno degli uomini

Brescia lavora, produce, traina l’economia lombarda: è una provincia che non si ferma mai. Ma se si parla di parità occupazionale e salariale, la Leonessa d’Italia mostra un volto meno fiero: i suoi numeri non si discostano molto dai dati, negativi, italiani ed europei.
Nella macchina efficiente dell’industria bresciana c’è un ingranaggio che non gira ancora come dovrebbe: quello dell’uguaglianza tra uomini e donne. È quanto emerge dal primo Rapporto sulla parità occupazionale e salariale nella provincia di Brescia, curato dalla professoressa Maria Laura Parisi dell’Università di Brescia basandosi su oltre 1.000 rapporti biennali delle imprese bresciane con più di 50 dipendenti, e promosso dalla Commissione Pari opportunità del Comune sulla scia dell’indagine sull’occupazione femminile e maschile promossa dalla consigliera regionale alla Parità Anna Maria Gandolfi.

A due velocità
Dietro la facciata di un territorio dinamico il divario di genere resta profondo: per ogni 100 donne occupate - evidenzia lo studio - gli uomini sono 144. Inoltre, le lavoratrici guadagnano meno: il gender pay gap medio è del 16% sulla paga base, ma sale fino al 29% se si considerano premi e componenti accessorie, come premi di produttività, straordinari, indennità, bonus e benefit economici.
Ed è proprio qui che la disparità cresce: mentre la paga base differisce «solo» del 16% tra uomini e donne, nelle componenti accessorie il gap sale fino al 29% (con punte che toccano il 47% nel settore industriale e il 60% in quello agricolo). Gli uomini, che risultano comunque più presenti in ruoli apicali o in mansioni che danno accesso a premi e straordinari, beneficiano di queste integrazioni più delle colleghe, che invece lavorano più spesso part-time o con orari che escludono i bonus legati alla presenza continuativa.

I divari
Il Rapporto sottolinea che la disparità non è uguale per tutti i livelli di inquadramento: le dirigenti sono ancora minoranza (43% del totale) e percepiscono compensi sensibilmente inferiori ai colleghi uomini. La distanza si riduce leggermente tra quadri e impiegate ma resta evidente tra operaie, dove la forbice salariale è tra le più ampie.
A incidere è anche la dimensione dell’impresa. Le aziende grandi - con oltre 500 dipendenti - mostrano politiche più equilibrate e una minore disuguaglianza, mentre le piccole e medie imprese restano il terreno più critico: qui, oltre ai salari più bassi, pesano le minori possibilità di carriera e i limiti nella contrattazione aziendale. «Questi dati sono terribili - ha commentato la presidente della Commissione Pari opportunità del Comune di Brescia, Mariasole Bannò -. Ma affrontarli significa parlare di autonomia economica e di libertà personale. La parità non è solo un obiettivo sociale: è anche una leva di crescita per tutti, anche per le imprese che, riducendo il gap di genere, migliorano produttività, competitività e profitti».
Le ragioni del divario
Le donne bresciane rappresentano solo il 40,9% della forza lavoro delle imprese con più di 50 dipendenti. Nei ruoli dirigenziali arrivano al 43%, ma tra gli operai scendono al 30%. E se nei livelli impiegatizi e da quadro le percentuali si ribaltano, le carriere si fermano presto: il cosiddetto «soffitto di cristallo», la difficoltà di raggiungere posizioni apicali, resta ben saldo. Il nodo cruciale resta ancora oggi la conciliazione tra lavoro e cura. A Brescia oltre il 55% delle trasformazioni da tempo pieno a part-time riguarda donne, con picchi del 90% per impiegate e dirigenti. Spesso si tratta di scelte obbligate, legate alla maternità o all’assistenza familiare.
La professoressa Parisi avverte: «Un percorso lavorativo frammentato, con salari più bassi, significa essere penalizzate anche in futuro, quando ci sarà bisogno di una pensione adeguata. In questo senso le donne sono a maggior rischio di povertà».
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