Cultura

Perché la moda sconvolgente diventa la moda che indossiamo

Secondo l’esperto bresciano Massimiliano Capella solo la moda interpreta i cambiamenti della società in maniera davvero popolare: ne parla nel nuovo libro «100 abiti che sconvolsero il mondo»
Una sfilata di Giorgio Armani alla Paris Haute Couture F/W 2005/2006 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Una sfilata di Giorgio Armani alla Paris Haute Couture F/W 2005/2006 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il corsetto esiste dal ’700. I jeans dal 1873, la tuta dal 1919. Il tubino nero, invece, dal 1926. Si dice che Coco Chanel disegnandolo annunciò che voleva creare «l’abito indossato da tutte le donne». All’epoca era sconvolgente: corto, nero, un po’ monacale e un po’ liberatorio. Secondo il bresciano Massimiliano Capella, docente e studioso di storia del costume, il little black dress resta l’abito sconvolgente per antonomasia proprio perché ora, effettivamente, è il capo che ogni donna deve avere nel guardaroba. Ma anche ogni uomo, in realtà: la moda è sempre più genderless. Nulla di scioccante: fino al ’200 l’abbigliamento era unisex.

Di questo cerchio che si chiude e di moda che non inventa più nulla ne parla a fondo lo stesso Capella nel nuovo libro «100 abiti che sconvolsero il mondo»: uscirà il 18 ottobre, è edito da 24ore cultura (208 pagine, 70 euro) ed è una sorta di enciclopedia ragionata e illustrata della storia della moda attraverso i capi che hanno cambiato la percezione del costume seguendo e riflettendo i cambiamenti della società. Secondo Capella, infatti, non c’è ambito che più della moda parli di attualità. «Neanche la letteratura, nemmeno l’arte contemporanea: gli abiti li indossiamo tutti e anche chi si ritiene snob o indifferente è toccato dalla moda».

Massimiliano, questo libro voluminoso e cartonato è ricco di immagini, che sono un po’ la prerogativa...

La preziosità della lettura sta proprio nel vedere ciò di cui si parla. Soprattutto in antichità, è interessare osservare quale abito o accessorio fosse ritenuto rivoluzionario per il periodo. Spesso resta sconvolgente anche per la moda contemporanea.

Anche gli abbinamenti parlano molto…

È così dalla prima scheda: accanto al chitóne del V secolo a.C. ti trovi Naomi Campbell in passerella. Accanto alla crinolina c’è un Alexander McQueen. Accanto ai calzoni cinquecenteschi à gigot ho messo la collezione Burberry 2017 di Christopher Bailey.

L’aspetto che emerge grazie a questi accostamenti è il concetto di «tutto torna». Esiste ancora l’originalità?

Basta guardare le sfilate a Parigi della settimana scorsa: si ripropongono gli archivi. E li si distrugge. La conoscenza storico-artistica per parlare e scrivere di moda è necessaria proprio per questo. La storia del costume fa rendere conto che tutto o quasi è già stato inventato e detto. Nostro compito è creare dialoghi e narrazioni. Prendiamo la collezione di Alexander McQueen S/S 2013 disegnata da Sarah Burton: uno degli abiti è esattamente il «Ritratto all’imperatrice Eugenia» di Franz-Xaver Winterhalter, ma se non conosci la storia dell’arte non lo saprai mai.

Alexander McQueen / L'imperatrice Eugenia - © by Karl Prouse/Catwalking/Getty Images; Foto courtesy The Metropolitan Museum of Art, New York
Alexander McQueen / L'imperatrice Eugenia - © by Karl Prouse/Catwalking/Getty Images; Foto courtesy The Metropolitan Museum of Art, New York

Qual è l’abito più sconvolgente in assoluto? Il meat dress di Lady Gaga agli Mtv Video Music Awards del 2010?

Il meat dress (l’abito fatto di vera carne, ndr) è una performance artistica. Moda che va oltre la moda, un po’ come l’abito scheletro di Iris van Herpen. Oggi si arriva a un punto nel quale il confine tra arte e moda è oltrepassato. Non si capisce chi deve qualcosa a chi. Si entra nell’ambito della pura performance. Il più sconvolgente per me? Il tubino nero di Chanel. Era una rottura totale con la tradizione. Oggi è quanto di più attuale e imprescindibile nel guardaroba di ogni donna. E uomo: oggi il genere è fluido anche nella moda.

Parla anche di quello, partendo dalle giacche di Giorgio Armani...

Nelle ultime schede tocco i temi fondamentali della contemporaneità per la società: arte, ambiente, fluidità e odio online. Le ultime immagini su Christian Siriano parlano della moda drag, e quindi della costruzione di una nuova figura femminile «non naturale», che oggi per la moda è quanto di più naturale ci sia. Per quanto riguarda gli haters, ne faccio cenno con la collezione di Diesel che parla della violenza verbale online mischiando «haute» e «hate», tema attualissimo trattato anche dalla moda. Nelle ultime schede mostro come solo la moda possa essere così attuale. Non possono esserlo né l’arte né la letteratura. Tutti indossiamo un capo. La moda riguarda tutti. Anche gli snob che credono di non interessarsi alla «frivolezza». Ciò che parte dalla haute couture arriva al grande magazzino. Dietro il sistema c’è profondità, c’è ricerca economica, c’è ricerca sociale.

Giorgio Armani - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Giorgio Armani - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Chi è il designer o la designer vivente e operante più sconvolgente, che resterà effettivamente nelle memorie?

Non avrei mai pensato di dirlo: Giorgio Armani. Sconvolgente, ma portabile. Perché a sconvolgere non è più la baracconata. La rivoluzione è la bellezza assoluta.

Lui destrutturò le giacche rendendo quelle maschili un po’ più femminili e viceversa. Con queste sue giacche ha introdotto il tema dell’unisex, come il jeans aveva fatto. Ma va ricordato che fino al ’200 la moda lo era già. Il fashion di genere è un’invenzione moderna. Solo le menti chiuse gridano allo scandalo quando si parla di genderless. Anche in questo caso, si riprende ciò che già c’era.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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