«Il giorno dell’ape»: Murray a Mantova con l’incomunicabilità familiare

Se viviamo nell’«età della solitudine», iniziative come il Festivaletteratura possono essere un prezioso antidoto. La rassegna mantovana mostra di risentire poco del peso degli anni: la 29esima edizione, vivace e ricca di spunti di riflessione, ha proposto oltre 330 appuntamenti tra incontri, spettacoli, concerti e percorsi animati, attirando circa 69mila spettatori.
Tra i molti ospiti importanti dell’ultima giornata, uno dei più attesi era lo scrittore irlandese Paul Murray, vincitore del premio Strega europeo e di molti altri riconoscimenti internazionali con il romanzo «Il giorno dell’ape» (Einaudi, 664 pp., 22 euro).
Solitudine

«L’età della solitudine» è il titolo dell’ultima delle cinque parti in cui il romanzo è diviso. In scena è la crisi economica e personale della famiglia Barnes, raccontata alternando i punti di vista dei quattro componenti del nucleo familiare: l’adolescente Cass, studentessa modello in procinto di andare al college, ma colta nel momento in cui mette in discussione tutte le sue scelte; il dodicenne PJ, che cerca a modo suo di risolvere i problemi dei genitori e i propri; la madre Imelda, terrorizzata dall’incubo della povertà incombente; e Dickie, padre fragile, incapace di liberarsi delle ragnatele del passato.
Nelle prime due parti, lo sguardo è quello dei giovani Cass e PJ: «Nell’adolescenza – dice Murray – tutte le emozioni sono in superficie, poi impariamo col tempo a gestire il nostro caos; ma sotto molti punti di vista non cambiamo veramente. Dapprima sei un idealista e vedi tutto in bianco e nero, poi inizi a confrontarti con il muro della realtà. I miei due protagonisti sono così, delusi dalla generazione che li precede e dal sistema disfunzionale che ha creato e che impedisce ai loro sogni di realizzarsi». Le generazioni non comunicano e non si conoscono. I Barnes formano quattro mondi separati tra loro, che lo scrittore allontana anche variando lo stile quando passa da un personaggio all’altro, in un racconto dal ritmo sempre trascinante.
I genitori e il passato
«I figli – prosegue Murray – hanno uno sguardo brutale sui genitori. Non immaginano che abbiano avuto un passato, anch’io pensavo che tutto per loro fosse cominciato con la mia nascita. Poi cresci e cominci ad avere uno sguardo piatto verso i figli, mentre pensi alla vita dei tuoi genitori e scopri che il passato è invisibile: una caratteristica dell’età adulta è il desiderio di nasconderlo, cercare di dimenticarlo per non andarsene in giro piangendo per tutto il giorno».
Murray ama una frase di William Faulkner: «Il passato non muore mai. E non è neanche passato». «Tutto ritorna continuamente – commenta – ma in modo diverso. Non siamo mai gli stessi nel momento in cui incontriamo il passato, come succede a Dickie: in periodi di crisi, pensi che tornando indietro a quel momento decisivo tutto potrebbe cambiare. Ma è come afferrare il fumo».
Incomunicabilità
Molte pagine sono percorse da un filo di ironia che fa sorridere, ma quello di Murray è, per sua stessa ammissione, «un romanzo triste. Non ci sono personaggi cattivi, ma persone che commettono errori per le pressioni che subiscono, in un’epoca in cui il tessuto sociale è aggredito dalla tecnologia. I Barnes dovrebbero parlarsi, ma le cose da dirsi sono difficili: le maschere che indossano gli divorano la faccia. Tutti vivono una crisi di fiducia nella nostra capacità di connetterci come esseri umani. Non credono in sé stessi, non credono gli uni negli altri e non credono di meritare l’amore».
Il racconto è ambientato nel 2014, in un’Irlanda in difficoltà economiche. Il crollo dei Barnes comincia con la chiusura della concessionaria di auto del padre. «Il futuro - dice un personaggio - è qualcosa che solo i ricchi possono permettersi di immaginare». Murray conferma: «L’Irlanda è stata sempre una nazione molto povera, poi a fine anni ’90 è diventata di colpo benestante. Tutti potevano trovare lavoro e arricchirsi, lasciare alle spalle la miseria. Dopo pochi anni, però, questo benessere è sparito e non è rimasto niente di un passato in cui la povertà non era associata per forza all’infelicità. Oggi vedo una società in cui gli ultraricchi sono atomi galleggianti e tutto quello che fa coesione è venduto o distrutto».
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