Bajani e «il diritto di sottrarsi a una famiglia che ci fa soffrire»
Andrea Bajani, fresco vincitore del Premio Strega – è stato assegnato lo scorso mercoledì con una cerimonia a Villa Giulia a Roma – è arrivato alla Rocca di Lonato per una delle prime uscite, dopo la proclamazione, da trionfatore del più importante premio letterario italiano. È stato ospite ieri sera, per lo Strega Tour, della Fondazione Ugo da Como grazie alla collaborazione con la Fondazione Bellonci che organizza il premio.
Il romanzo che è valso a Bajani l’ambito riconoscimento si intitola «L’anniversario» (Feltrinelli) e ha conquistato anche lo Strega Giovani.
«L’anniversario» racconta il dramma silenzioso di una madre e di un figlio attraverso la voce del ragazzo diventato uomo, a dieci anni dalla decisione del protagonista di recidere ogni legame con la famiglia d’origine, sottraendosi al logoramento di una violenza sottile e pervasiva tra le mura di casa: la madre, succube del controllo totalitario del marito, allontanata da ogni legame, è sprofondata con il passare degli anni in un isolamento sociale sempre più amplificato. Prima dell’incontro pubblico, con l’autore abbiamo parlato del premio e del suo romanzo.
Andrea Bajani, lei era dato per favorito. Come ha reagito all’annuncio della vittoria?
Tutto è avvenuto in maniera velocissima e contemporaneamente lentissima. Mi sono trovato su quel palcoscenico, ed è stata un’emozione fortissima.
Nel romanzo mette in discussione l’impostazione della famiglia patriarcale, tema quanto mai attuale.
Più che il patriarcato il vero tema di questo libro è lo scandalo di trattare i legami familiari come vengono trattati quelli lavorativi, amicali. Ovvero, se non funzionano, per qualsiasi ragione, si possono rompere e si è addirittura supportati giuridicamente se li si vuole interrompere. Quando invece si parla dei legami di sangue, pare che interromperli sia scandaloso. Il protagonista lo fa, si sente legittimato a sottrarsi.
«L’anniversario» è in effetti un romanzo di liberazione dal totalitarismo di una famiglia disfunzionale.
La liberazione del figlio dalla sua famiglia è la ragione per la quale il libro si intitola «L’anniversario». Perché al centro c’è la celebrazione del decennale dalla rottura del protagonista con la famiglia. Una rottura che comunque contiene del dolore. È la scelta dolorosa di sottrarsi a qualcosa che lo fa sentire in pericolo.
Lei non condanna né perdona. Si limita a un resoconto, con una scrittura e un tono calmi, lineari.
Quando si scrive fluiscono cose misteriose, che neppure lo scrittore controlla. Per cui in un certo senso quando inizio a scrivere non so cosa succederà. Però è proprio da questo tono calmo che nasce lo scandalo, «lo scandalosamente calmo» di cui parla Carrère nella fascetta del libro. Lo scandalo deriva dall’affermazione di un diritto, quello di sottrarsi a qualcosa, in questo caso i legami famigliari, che ci fa soffrire. Non è una colpa, come spesso viene percepita la frattura con la famiglia, ma un comportamento che dovrebbe essere naturale, se qualcosa ti fa stare male e ti causa dolore. Il protagonista rompe con la famiglia per sopravvivere.

Nel mondo di oggi ci sono tanti «invisibili» come la madre del protagonista. Penso ai popoli che subiscono le guerre, come a Gaza.
L’invisibilità in generale è sempre figlia della decisione di che cosa mettere o non mettere in evidenza. La letteratura contesta sempre le versioni ufficiali e deve sempre stare dalla parte di chi non si vede, come le vittime civili delle guerre.
Lei vive da tempo negli Stati Uniti, in Texas. Come è vissuto realmente dagli americani il presidente Trump?
È un fatto che Trump abbia conquistato la pancia dell’America. Ma tra gli americani c’è anche molta incertezza. Non sanno cosa deciderà di fare Trump, visto che cambia idea ogni giorno. E poi ha offerto l’assist a una parte dell’America che vede nello straniero un nemico.
Che differenza vede con l’Italia?
La differenza tra l’Italia e gli Stati Uniti è che in America la cultura popolare non esiste, è solo appannaggio di piccole élite, mentre nel nostro Paese è anche del popolo. È nelle piazze, nei paesi.
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