Pasolini, 50 anni dopo: il suo cinema tra realtà, poesia e provocazione

Intellettuale e artista eclettico come forse nessun altro della sua generazione, Pier Paolo Pasolini - di cui ricorre questa notte il 50° anniversario del brutale assassinio all’idroscalo di Ostia - ha avuto con il cinema un rapporto profondo, oltre che proficuo. Cresciuto nel tempo, dopo un primo approccio da semplice spettatore quando era studente a Bologna e uno, successivo, di tipo essenzialmente “alimentare”, dopo aver perso il lavoro di insegnante ed essersi trasferito a Roma con la madre.
Il suo desiderio di dedicarsi alla letteratura (poesia, soprattutto) e alla pittura cozzava infatti con le ristrettezze economiche; per arrotondare lo stipendio da docente in una scuola privata, si iscrisse addirittura al “sindacato comparse” di Cinecittà, cominciando poi a collaborare alla stesura di copioni: un lavoro in cui esordì - al fianco di Giorgio Bassani - sceneggiando «La donna del fiume» (1954) di Mario Soldati; quindi lavorando a tre film in cui ricorre curiosamente la parola ‘notte’ nel titolo («Le notti di Cabiria» di Fellini, «La notte brava» di Bolognini, «La lunga notte del ‘43» di Vancini). Salvo poi si mettersi in proprio e attingere (anche) dai romanzi pubblicati nel frattempo, convinto che proprio quello del cinema fosse il linguaggio universale che andava cercando, il più adatto a ritrarre la realtà e restituire il «sordo caos delle cose».
Il suo cinema
La filmografia di PPP regista conta su dodici lungometraggi di finzione e quattro corti (più precisamente: segmenti di film a episodi), a cui si aggiungono una manciata di documentari di vario metraggio, tutti realizzati tra il 1961 (quando debuttò con «Accattone») e il 1975, allorché firmò «Salò o le 120 giornate di Sodoma», che uscì tre settimane dopo la sua morte e venne frettolosamente etichettato come testamento poetico. Nel novero, ci sono almeno due capolavori: «La ricotta» (episodio di un’opera a più mani, «Ro.Go.Pa.G.», del 1963) e «Il Vangelo secondo Matteo» (1964), entrambi incredibilmente oggetto di procedimenti penali per “vilipendio della religione di Stato”, nonostante i molti riconoscimenti ricevuti contestualmente dallo stesso mondo cattolico.

Tre ulteriori lavori si avvicinano comunque alla categoria dei grandi film, ovvero «Mamma Roma» (1962), «Uccellacci e uccellini» (1966) e «Che cosa sono le nuvole?» (breve esemplare di struggente poesia, contenuto nel peraltro deludente «Capriccio all’italiana», del 1968). Altre opere di celluloide sono invece invecchiate maluccio, sebbene alcune (su tutte «Teorema» e «Decameron») abbiano avuto una larga influenza su molto cinema, non solo italiano, delle decadi successive.
Lo stile
Pur avendo ammirato il neorealismo (in particolare «Ladri di biciclette» e «Roma città aperta»), lo stile registico di Pasolini se ne allontana non poco per la presenza di svariati elementi simbolici e di onirico surrealismo, combinati per il mezzo di una forma che, pur aspirando a farsi poesia visiva, preserva una forte componente di fisicità, talvolta anche di violenza espressiva.
C’era, in lui, una rigorosa attenzione alla messa in scena e alla cura di taluni aspetti, compresa la musica, tanto che fu probabilmente l’unico cineasta al cui carisma Morricone si piegò, accettando (cosa che l’intransigente Ennio non faceva mai) di utilizzare in colonna sonora anche composizioni non scritte personalmente. Di fatto, PPP ha creato uno stile unico e non facilmente ripetibile, in cui una «pura coscienza poetica, animata dall’elemento mitico o sacralizzante» non rifiutava l’epica, ma la considerava veicolo di una critica sociale e politica, che ebbe come principale bersaglio la società consumistica e neocapitalistica degli anni Sessanta e Settanta.
Il lascito
Restano comunque tracce persistenti di Pasolini nel cinema contemporaneo, forse più a livello tematico (il sottoproletariato raccontato da Ken Loach o dai fratelli Dardenne, per esempio), anche se gli sono certamente debitori, pure su un piano estetico e per ragioni diverse, autori come Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio, Derek Jarman e Martin Scorsese.
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