Nella Brescia che cambia d’inizio Novecento il Brigadiere Setti c’è

«La prima persona del Carmine che ho conosciuto bene è stato l’Arlechì...». Doveva quel soprannome al carattere allegro, estroverso e un po’ giullaresco. Ma una sera, per salvare la figlia dalla violenza del fidanzato, mise mano al coltello... Inizia con una storiaccia fra le tante del quartiere malfamato, nel cuore della città, il racconto di Francesco Setti, il Brigadiere del Carmine creato dalla penna arguta di Enrico Mirani. Fedelissimo al titolo: «Brescia narrata dal Brigadiere del Carmine. Luoghi e varia umanità...» (Liberedizioni, 182 pagine, 18 euro).
Il libro verrà presentato sabato 29 novembre, alle 18, alla Birreria «Pool as tree» di via Sant’Orsola 86 a Sant’Eufemia, con l’editore Marcello Zane e Sara Chiodi. Anche il luogo dell’appuntamento, per divertita originalità, sarebbe piaciuto al Brigadiere, che amava il coniglio alla bresciana, ma non disdegnava un «pulastrì» ben cucinato.

Il brigadiere Francesco Setti
Enrico Mirani è un flâneur della cronaca e della storia. Ama lunghe passeggiate tra le pagine dei giornali d’inizio Novecento. Tra quei fogli ampi e ingialliti coglie il clima del tempo e lo intreccia con gli aspetti più intriganti. I dettagli danno senso all’insieme. Le curiosità non sfuggono all’occhio allenato del cronista che conosce virtù e difetti dei colleghi, anche a cent’anni di distanza.
Da quelle pagine ha tratto Francesco Setti, brigadiere dell’Arma, originario della Bassa Padana e finito nel Bresciano. Le cronache d’una vicenda infame raccontano che stava alla caserma di Trenzano, Mirani lo ha portato, armi e bagagli, al Comando di piazza Tebaldo Brusato. Da lì era naturale fargli attraversare tutta Brescia, dalle strade lustre dei palazzi nobiliari ai vicoli bui nel ventre dolente delle Pescherie, passando sotto i portici, per piazza Duomo, sotto la Loggia, in via San Faustino. E poi ancora su su, fino a Campo Marte. Lo ha reso celebre grazie ad una decina di indagini, svolte tra il 1906 e il 1936. Polizieschi avvincenti, e al tempo stesso affreschi d’una Brescia che cambiava pelle.
Salto indietro di un secolo
Una Brescia che ospitava in Castello un’esposizione che fece clamore e alla Fascia d’oro un circuito aereo che fece storia. Si distingueva per organizzare gare motoristiche ed erigere ciminiere fumose. La Belle époque e la Grande guerra, il Biennio rosso e le Camicie nere. Le ruspe intanto sventravano le Pescherie per far posto a piazza Vittoria. Il brigadiere Francesco Setti era lì, in prima fila, qualche volta come spettatore curioso, quasi sempre per dovere di servizio.
Enrico Mirani, fedele alla sua formazione da storico e alla professione giornalistica, non ha resistito (per fortuna nostra) alla tentazione di far raccontare quella Brescia al suo brigadiere. Una narrazione che rifugge la monumentalità per immergersi nella quotidianità. Francesco Setti è presente, lanterna in testa e pennacchio rossoblù, quando arriva re Vittorio Emanuele – ma quant’è piccolo – ad inaugurare il monumento a Zanardelli, e quando lo stesso monumento viene spostato per fare spazio al Palazzo delle corporazioni, quando si inaugura la Casa dei Balilla in via Battaglie, quando la Loggia torna ad avere il tetto a forma di carena, e quando migliaia di bambini della Colonia elioterapica, sul piazzale dal Castello, formano la scritta Duce, in mutande e canottiera. Il Castello era in cerca – anche allora – di una sua identità, fra esposizioni, attività sportive e un primo esperimento di giardino zoologico. È presente quando Buffalo Bill dà spettacolo con il suo grandioso circo di cow boy e pellerossa, a Campo Marte, e quando i Futuristi danno spettacolo al Sociale. Ma anche quando la città si divide per l’entrata in guerra e quando si unisce a far festa perché la guerra finalmente è finita.
Per strade e piazze tengono banco l’ortolano filosofo Angelo Ferrazzoli, il piazzista matematico Giuseppe Rizzini (vende libricini con conti già fatti per massaie inesperte) e soprattutto il gelataio-verduraio e astronomo Giovanni Paneroni («la Terra non gira, o bestie!») Il Brigadiere del Carmine ci porta negli anfratti malsani delle pescherie e nelle sale scintillanti di ristoranti e caffè, nelle stanze di alberghi che vorrebbero essere esclusivi e in bettole di malaffare. Ci porta in piazza Vittoria mentre erigono il Bigio, statua divisiva e discussa fin dalla sua collocazione, e va in corso Magenta all’apertura dello chalet della Birra Wührer. Al cinema quasi sempre si annoia, ma ci va, per lui – capelli a spazzola (all’umberta, si diceva allora) e baffo malandrino – è l’occasione per offrire la spalla accogliente alle lacrime commosse della fidanzata di turno. Brescia, cent’anni fa.
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