Musica

Poesia, malinconia, rock e rabbia: Morrissey strega il Vittoriale

Tutto esaurito per la rockstar britannica, gentile, sarcastica e teatrale con il pubblico
Morrisey rockstar al Vittoriale
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Si dice che le rockstar siano bizzarre. Ecco, notoriamente Morrissey è un filo oltre la bizzarria. Si presenta regolarmente al Vittoriale, peraltro sold-out. Ma le precedenti sei date (a Stoccolma, Belgrado, Bucarest, Istanbul, Atene e Sebenico) erano saltate. La prima per stanchezza del sessantaseienne di Davyhulme, Greater Manchester, le altre per via di un infortunio a un membro della sua band.

Le bizzarrie

  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
    Morrissey, il concerto al Vittoriale - Foto New Reporter Marazzani © www.giornaledibrescia.it
  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
    Morrissey, il concerto al Vittoriale - Foto New Reporter Marazzani © www.giornaledibrescia.it
  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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  • Morrissey, il concerto al Vittoriale
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    Morrissey, il concerto al Vittoriale - Foto New Reporter Marazzani © www.giornaledibrescia.it

A Gardone Riviera è stata una giornata lunga. Tanto di cappello all’organizzazione del festival Tener-A-Mente. Pare che Mozzer, più o meno all’ultimo minuto, abbia preteso i metal detector all’ingresso. Poi avrebbe espressamente richiesto che venissero montate delle transenne metalliche di una data altezza davanti al palco, nonché la presenza di sei uomini della sicurezza. Infine, visto che è vegano, avrebbe cacciato dalla sala in cui ha pranzato chiunque stesse per addentare un panino. È noto: non solo per queste ragioni (più che altro per via delle uscite per mezzo delle quali, da anni, spara a zero su qualsiasi cosa), chi lo odia lo detesta, mentre chi lo ama lo venera. Chi firma non ha dubbi circa il sentimento da provare.

Gli Smiths

Moz sale sul palco qualche minuto dopo le 21, vestito di nero, con un mazzo di fiori in mano. «Salve, salve, salve», saluta, e inizia con gli Smiths: Shoplifters Of The World Unite. Gli Smiths, in mezzo agli Anni 80, con meno credito a livello mondiale e meno prolificità, hanno fatto per la musica ciò che fecero i Beatles. Il suono è pieno, la voce baritonale in palla. Ecco You’re The One For Me, Fatty, e ancora la sua vecchia band. «Come sapete, la trascuratezza sessuale può generare grande poesia», ricorda. How Soon Is Now? è arrabbiata, gonfia, con un riverbero gigante nell’anfiteatro gardesano. Una delle migliori canzoni sulla solitudine mai scritte.

Da Bruce Lee a Bowie

«Torno in Italia con grande orgoglio», afferma. Di canzone in canzone, sullo schermo alle sue spalle compaiono gigantografie dei suoi eroi, dei suoi riferimenti: Bruce Lee, James Dean, David Bowie... Due chitarre, basso, batteria (con tanto di maxi timpano di lato), tastiere. Il sound è eccellente, potente, preciso, esplosivo. La voce pare migliorare con gli anni. In ordine sparso, ecco Suedehead, Rebels Without Applause, la fan favourite Please, Please, Please, Let Me Get What I Want (nota anche ai profani in quanto colonna sonora di un noto spot), I Know It’s Over. A chi gli urla «Sposami!» risponde: «Quando? Perché?». D’altra parte, per far luce sul mistero che lo accompagna da decenni, si era auto definito «humansexual», il che significa che è generalmente orientato verso gli esseri umani («Sì, ma non tanti»).

Il pubblico

Morrissey, col pubblico del Vittoriale, è sé stesso. Gentile, con più di una punta di sarcasmo, teatrale, aperto e contemporaneamente in difesa, le braccia strette attorno al petto e alle spalle. C’è tempo per altre canzoni, tra le quali Suedehead, Sure Enough The Telephone Rings («un brano che scava dentro anni di amarezza solo per trovare altra amarezza»), All The Lazy Dykes. Sul maxischermo due mani si chiudono, sulle dita le lettere che compongono «hate», odio. Sulla grancassa della batteria c’è la scritta «War is old, art is young»: la guerra è vecchia, l’arte è giovane.

Nessuno sta seduto. Né in platea, né sugli spalti. Qualcuno sale con i piedi sui seggiolini. Un coro da stadio richiama Moz sul palco per l’encore. «Nella vita ho pagato per ogni pensiero che ho avuto, e le cose non andranno affatto meglio – afferma –. Ma voi rendete tutto più dolce. Per questo vi amo, e non potete farci niente». Ecco la struggente Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me, forse con qualche problema di audio. Morrissey la chiude e sparisce dietro il palco. Da scaletta diramata poi dal Vittoriale era prevista Irish Blood, English Heart, che non viene però eseguito. Si accendono le luci, tanti saluti. Di Morrissey ce n’è solo uno.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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