Fast animals and slow kids: «Rivendichiamo la musica sperimentale»

Enrico Danesi
Domani sera al Castello di Brescia i FAST canteranno anche l’ultimo singolo «Sei ore», nato mentre erano in van diretti a Bologna
I Fast animal and skow kids - Foto Tommaso Piscitelli
I Fast animal and skow kids - Foto Tommaso Piscitelli
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Serata tutta italiana, ad Alchimie Festival, kermesse in scena fino a domani al Castello di Brescia. Il clou di giornata sono i Fast animals and slow kids, ma ci sono pure Cara Calma, Led e il curioso dj party All You Can Hit: apertura alle 19, si termina alle 2; fino a mezzanotte il biglietto costa euro 34.50; info su welovecastello.it).

A dispetto di un nome chilometrico e anglosassone (ispirato a una gag della serie tv «I Griffin»), i Fast animals and slow kids sono di Perugia: la line-up attuale conta sugli stessi musicisti che fondarono il gruppo nel 2008 – Aimone Romizi a voce, chitarra, percussioni; Alessandro Guercini alla chitarra, Alessio Mignoli alla batteria e Jacopo Gigliotti al basso – e che nel giro di diciassette anni e sette album sono passati dal punk arrabbiato a un rock meno ruvido, comunque alternativo ma depurato degli elementi più spigolosi, sebbene l’attitudine originaria per il palco (dove danno il meglio di sé) non sia cambiata. Abbiamo sentito telefonicamente i FASK – che a maggio hanno lanciato il singolo «Sei ore» – mentre erano in van, diretti a Bologna per un concerto.

A proposito di strade da percorrere: «Sei ore» racconta di situazioni che fanno star male e appuntamenti in aree di sosta. È una versione anni Duemila di «Autogrill» di Guccini?

«L’accostamento non è cercato, ma ci sta, perché l’autogrill della nostra canzone è una dimensioni radicata dell’essere musicisti in Italia, di fatto un luogo di frequentazione quotidiana. “Sei ore” è un piccolo spaccato di vita, che recupera quei momenti all’apparenza insignificanti, ma di cui a posteriori scopri l’importanza, in quanto riassumono meglio di ogni altro una condizione di stanchezza o di malessere. Mettere in una canzone cose che facciamo e che magari ci pesano, è il nostro modo di esorcizzarle».

Nell’ultimo album, «Hotel Esistenza» (2024), sembravate orientati, forse ironicamente, alla ricerca della normalità, esaltata nella traccia «Una vita normale». L’avete conseguita?

«Già mentre finivamo di scrivere il disco, eravamo giunti alla conclusione che non esiste una normalità che vada bene in assoluto, ma solo una normalità a misura di ciascuno. Pensi a chi vive di musica: gli orari assurdi e tutta una serie di cose strane, che per un musicista sono però la normalità…Nel brano, e nel disco, normalizziamo la (presunta) anormalità».

I Fast animals and slow kids - Foto Tommaso Piscitelli
I Fast animals and slow kids - Foto Tommaso Piscitelli

Underground, alternativi, indie. In quale abito vi trovate a vostro agio?

«Underground inteso come totalmente contrapposti al mercato non fa parte del nostro percorso: non tanto per scelta, quanto per il momento storico in cui abbiamo cominciato. Rivendichiamo però con forza l’idea di una musica che non risponda alle logiche del “lo facciamo perché funziona” o dell’imposizione: ci piace sperimentare, andare ogni volta un passo più in là. E siamo contenti di aver vissuto quantomeno la coda di un’epoca in cui potevi essere alternativo (non per forza contrapposto) al mercato, suonando in piccoli posti, crescendo di concerto in concerto, conoscendo il tuo pubblico di persona. Pur senza essere nostalgici, ci auguriamo che qualcosa di simile possa prima o poi tornare».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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