Cultura

Matteo Lancini: «Al Salone del libro il mio spazio per adolescenti»

Anita Loriana Ronchi
Lo psicologo e psicoterapeuta bresciano curerà a Torino in primavera la nuova sezione «Crescere»: «Il dramma della solitudine dei ragazzi è reale»
Il bresciano Matteo Lancini - Foto Raffaello Cortina Editore
Il bresciano Matteo Lancini - Foto Raffaello Cortina Editore
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Il processo di crescita è come un viaggio compiuto all’interno di se stessi, dove di sicuro non mancano problemi, incertezze, erramenti. Un cammino complicato, che deve portare all’evoluzione del nostro essere e alla scoperta della propria identità. E nel quale i ragazzi non sono davvero aiutati, sospinti anzi da apparenti forme di sicurezza e da reali condizioni di vuoto, che, alla lunga, possono sfociare in autentiche forme di disagio.

Il senso delle difficoltà e delle sofferenze delle nuove generazioni di adolescenti e giovani adulti, insieme alle complessità dell’essere genitore, insegnante ed educatore saranno il cuore della sezione Crescere, una delle novità del 37° Salone del libro di Torino. A curarla, lo psicoterapeuta e scrittore Matteo Lancini. Lo abbiamo intervistato.

Professor Lancini, da cosa nasce l’idea di aprire al Salone del Libro questo nuovo spazio dedicato?

In primo luogo dalla sensibilità di Annalena Benini, direttrice del Salone, e del suo gruppo di lavoro, che si è già concretizzata in iniziative condotte nelle edizioni precedenti. Quest’anno si è deciso di aggiungere una sezione ad hoc, che esplicita l’attenzione verso la crescita delle nuove generazioni, alla luce di un disagio che viene espresso anche da ben noti fatti di cronaca. Rappresenta una dimensione in cui dialogare con giovani e adulti, affrontare insieme la crisi per cercare di trasformarla in creatività.

Quali difficoltà lamentano, in particolare, gli adolescenti di oggi?

La difficoltà più grande è, soprattutto, a livello di consapevolezza, conseguente al cambiamento profondo intervenuto nelle dinamiche sociali. Famiglia e scuola sottoscrivono una specie di patto d’intesa, fin dalla nascita, col quale assicurano comprensione, insegnamenti e sostegno, ma quel patto viene subito smentito dall’adulto quando il ragazzo prova ad essere se stesso, quando esprime emozioni – come paura, tristezza, rabbia – e vissuti che noi adulti percepiamo come disturbanti. Il genitore o l’insegnante impedisce di provarli; non si capacita che, nonostante tutto l’amore che ha dato e tutto ciò che ha fatto, si manifesti questo disagio giovanile, che da decenni non è più nemmeno un conflitto positivo e nemmeno leggibile come narcisismo o post-narcisismo. Allora, invece di chiedere scusa, incolpa internet e i social media.

Sta dicendo quindi che, nonostante siano connessi e interconnessi, i giovani si sentano estremamente soli?

Sì, il dramma della solitudine è reale. Nel web i ragazzi vanno a cercare qualcosa che aiuti a ridurre il fortissimo senso della solitudine, che ogni giorno sperimentano pur stando in mezzo agli altri. La scuola serve più agli adulti per confermare che stano facendo bene il loro mestiere. Ma le dichiarazioni degli stessi ragazzi, anche a seguito di atti violenti o di tragedie di cui purtroppo le cronache spesso ci raccontano, dicono altro. Invece di capire cosa dovremmo fare e di educare anche all’uso dei mezzi informatici, additiamo in internet il problema, quando questa stessa società non mette al centro le politiche giovanili: plastifichiamo i mari, inquiniamo il pianeta e centinaia di istituzioni utilizzano regolarmente l’intelligenza artificiale, ma, se lo fa un ragazzo, allora diciamo che ha copiato.

Uscirà a breve per i tipi di Cortina editore il suo nuovo libro, «Chiamami adulto». Può anticiparci qualcosa?

Chiude la trilogia iniziata qualche anno fa con «L’età tradita». Tema centrale è lo spaesamento che avvertiamo ai giorni nostri, dove c’è una sorta di dissociazione tra i modelli di comportamento che proponiamo e costruiamo intorno ad un sistema valoriale condiviso, che però rende molto difficile organizzare la vita. Quel che ci può salvare, sostengo nel volume, in assoluto è la relazione, cogliere cosa vuol dire ascoltare e stare insieme. Ho provato a spiegare che questo è uno dei problemi più importanti, che ha contribuito a far sentire sole le giovani generazioni e che, a fronte dei molti bombardamenti che quotidianamente riceviamo, cerchiamo sempre delle indicazioni sul cosa fare, dei modelli standard da seguire per semplificare l’esistenza. Come se potesse esistere una ricetta valida per tutti e se ognuno non fosse unico e con bisogni speciali. La verità e che diventiamo genitori anche in base ai figli e, solo mettendo in atto una relazione autentica, possiamo evitare che il disagio aumenti ed avvicinarci alla felicità.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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