Per Nicola Lagioia «potremmo leggere molto di più»

Lo scrittore sarà a Provaglio il 27 ottobre con un monologo sul potere della narrazione per festeggiare i trent’anni della Libreria di Iseo: in questa intervista parla di «La città dei vivi», del perché leggiamo poco e della serie «Avetrana»
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Nicola Lagioia si racconta a Provaglio d'Iseo
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Nicola Lagioia nel 2014 ha vinto il premio Strega con un romanzo noir e gotico al cui centro stava la morte, «La ferocia» (Einaudi). Nel 2020 se ne è uscito con un altro libro, stavolta non-fiction, sempre dedicato alla morte. «La città dei vivi» (Einaudi) è un true crime ispirato a un fatto di cronaca tra i più sconvolgenti: l’uccisione di Luca Varani da parte di Manuel Foffo e Marco Prato. Il tema del libro – che è anche un podcast prodotto da Chora – e la vicenda in sé sono così cruenti da aver reso la lettura difficile a molti. Nicola Lagioia, scrittore, conduttore radiofonico e direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino dal 2017 al 2023, ne è consapevole: anche lui lo definisce un libro «oscuro», ma proprio per questo necessario.

Nei prossimi giorni l’autore sarà in provincia di Brescia con il monologo «L’arte di raccontare storie attraverso la letteratura, da Omero ai giorni nostri»: narrando ad alta voce, parlerà del potere della narrazione. Il monologo – a ingresso gratuito e curato da Sottovuoto – si terrà domenica 27 ottobre alle 16 al Teatro Pax di Provaglio d’Iseo. L’occasione sono i trent’anni di attività della Libreria di Iseo, che ha aperto nel 1994 e che domenica dalle 16, sempre al teatro, ospiterà una giornata dedicata a libri e cultura.

Abbiamo intervistato Lagioia.

Qualche tempo fa dichiarò «leggo 20 libri al mese», in risposta all’ex ministro Gennaro Sangiuliano che diceva di imporsi la lettura di un libro al mese. Quando è diventato un lettore così forte?

Quando ero un ragazzo, tra le medie e il liceo. Ma non sono stati i libri il primo oggetto della passione: leggevo prima di tutto fumetti e mi approvvigionavo in edicola. C’erano un sacco di riviste e storie d’autore come quelle di Andrea Pazienza, ma anche fumetti stranieri come «Watchmen», «The Dark Knight», tutti i supereroi... Erano una rivoluzione. Ne leggevo decine al mese. Allo stesso tempo leggevo libri, ma sono arrivati in maniera più consistente negli anni del liceo e dell’università.

In un’altra intervista rivelò di essere preoccupato per gli adulti che non leggono, più che dei ragazzi, che in realtà sono tra i lettori più forti. Come si può secondo rimediare?

È così: incontro molti più adulti che non leggono. I ragazzi leggono molto. Ma il problema è di fondo: in Italia non c’è mai stata una politica seria di promozione alla lettura e quindi resta la difficoltà di approccio. Non c’è un sostegno organico, un piano politico che coinvolga biblioteche, case editrici e scuole. Questa mancanza e debolezza istituzionale fa sì che abbiamo un paese che legge, ma che potrebbe leggere molto di più. Ma il fatto più grave è che abbiamo una classe dirigente che non legge e non maneggia i libri.

Il monologo si concentra sul potere della narrazione: oggi qual è il mezzo narrativo più potente, senza snobismi e senza retorica?

Dipende dalla narrazione. Per esempio quella letteraria – che lascia libero il lettore cercando di liberare il suo spirito critico – non andrebbe mai limitata negli strumenti. Ma la potenza diventa pericolosa se pensiamo a essa solo come alla possibilità di arrivare a più persone possibile per dominarle. È ciò che fanno le nazioni più potenti, quelle che vogliono dominare e manipolare i destinatari, e non liberarli con la lettura. La politica e il potere economico usano i social network proprio in questa maniera. Prendiamo Elon Musk: guardi cosa sta facendo con il canale di cui è proprietario, sostenendo la campagna elettorale di Donald Trump. Quelli sono mezzi e strumenti e fonti di racconto potentissimi perché raggiungono miliardi di persone. Non puntano più alla condivisione di esperienze (quello era l’Internet 1.0). Oggi il loro intento nel migliore dei casi è estrarre informazioni da noi. Nel peggiore è la manipolazione. Che è ciò che da sempre politica e potere fanno, ma non hanno mai avuto strumenti così potenti. La letteratura è quindi una forma di narrazione minoritaria, ma ancora seminale. La ricerca di forme nuove e l’immaginazione del futuro è ancora facile che venga dalle art, più che dai social.

Per molte persone la lettura di «La città dei vivi» è stata tra le più difficoltose. Sa di avere provocato parecchia ansia?

Sono consapevole che si tratti di un libro oscuro, che non racconta di un bel mondo, ma la letteratura è anche questo: ha potere liberatorio. Dobbiamo raccontare anche il lato oscuro della vita. L’esempio più lampante è la tragedia classica: al culmine c’è sempre la catarsi. Le persone – sentendo che quelle opere toccavano e scioglievano in maniera cruenta ma salvifica tutte le loro contraddizioni e i non detti, le verità indigeribili e sacandalose, le oscenità – percepivano la liberazione. In questi giorni si parla del film «Apocalypse now» di Francis Ford Coppola, uscito al cinema 45 anni fa. Era duro, ma restituiva a un intero popolo un vissuto rimosso e terribile come la guerra in Vietnam. Si parla di guerre, violenze… La cosa più terribile che possiamo fare, diceva Jung, è dimenticare la nostra ombra. Tutti abbiamo zone violente e inaccettabili, ma negandole si rischiano danni.

A tal proposito, notizia di questi giorni è la sospensione della messa in onda della serie tv «Avetrana - Qui non è Hollywood» su Disney Plus (secondo il sindaco sarebbe diffamatoria nei confronti della cittadina in cui si consumò il delitto di Sarah Scazzi). C’è chi dice che potrebbe diventare un precedente...

Se pensiamo che una serie o romanzo o film possa seriamente danneggiare il luogo in cui è ambientato non avremmo l’80% dei film americani ambientati a Los Angeles. È un ragionamento veramente provinciale. Stendhal diceva che un romanzo è uno specchio portato su una strada: riflette l’azzurro del cielo e il fango della carreggiata. Non è l’uomo che porta lo specchio ad avere colpe. «Avetrana» sta raccontando un fatto, non inventa nulla. Ce lo ricordiamo lo stesso come Cogne, Novi Ligure, Erba… A questo punto non mettiamo in scena «Macbeth» per tutelare la reputazione della Scozia e l’«Amleto» per non turbare la Danimarca.

«La città dei vivi» è uscito nel 2020. Lettori e lettrici si chiedono quando si potrà leggere di nuovo una sua opera...

Ci sto lavorando. Lavoro quasi sempre a un libro, ma sono lento. Detto questo, il momento sta davvero arrivando: non dico nulla, ma sono a buon punto.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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