Mahmood prima scalda e poi incendia la platea a Campo Marte
Mahmood attira meno pubblico del previsto all’Arena di Campo Marte, rumoroso tuttavia, e decisamente entusiasta. Il doppio vincitore di Sanremo ripaga la platea bresciana con un live che fatica ad accendersi, ma cresce di intensità brano dopo brano, appoggiandosi a sonorità arabeggianti rielaborate in chiave hip hop: non incasellabile, come d’altronde sfugge a ogni classificazione l’artista medesimo, con quella sua voce singolare, costantemente disposta ai riverberi soul, strascicata e trascinata fino ad allungarsi e mutare, di fatto inconfondibile (sebbene l’ineffabile Fiorello abbia dimostrato di saperla riprodurre efficacemente).
Scenografie semplici, con uno schermo che rimanda sghembi ambienti terrestri e poi immagini autoreferenziali; musica suonata e campionata in egual misura; giochi di luce intermittenti dalle geometrie variabili; l’immancabile autotune che aggiunge vibrazioni supplementari: il rapper/autore - in canottiera traforata che ricorda quella del sodale Blanco all’Ariston, abbinata a pantaloni mimetici - punta soprattutto sul proprio carisma.
Il concerto si avvia con «Dei» e staziona su un piano metafisico pure con «Ghettolimpo» (title-track dell’album più recente, eseguito quasi per intero), che è brano complesso e camaleontico: in principio sembra il richiamo alla preghiera di un muezzin, salvo poi cedere al ritmo martellante e trasformarsi in invocazione universale, dispiegandosi tra strofe rappate e un ritornello sognante. Dopo «Klan», Mahmood chiede se «c’è qualcuno di Milano» e ricevuto qualche sparuto sì in risposta, introduce «Il Nilo nel Naviglio», una canzone «pensata quando giravo con gli amici nella mia città e immaginavo di essere altrove». Ritmo e melodia: la miscela funziona bene, rivelandosi addirittura trascinante con «Icaro è libero», che nasconde tra le righe una dichiarazione programmatica: «Se tutto ormai è proibito, me ne frego e canto». Aumentano i battiti, il pubblico scatta in piedi, mentre scorrono «Kobra», «Rubini», «T’amo», dedicata «alla terra di mia mamma, la Sardegna». Al grido di «scatenatevi se vi va!», arriva invece l’etnica «Barrio», quindi «Rapide». Finale con le hit sanremesi d’assalto: «Brividi» e «Soldi», cantate in coro.
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