Godeliève Mukasarasi: «Il futuro del mio Ruanda»

«Si potrebbe fare dell’Africa un continente di pace e sviluppo». Ne è convinta Godeliève Mukasarasi, vincitrice dello Human Rights International Award nel 2011 e dell’International Women of Courage Award nel 2018, determinata a «vivere positivamente con il male e con il bene».
La sua storia è intrecciata indissolubilmente con quella del Ruanda, dov’è nata 65 anni fa, ha svolto il suo lavoro di assistente sociale e ha creato Sevota, l’associazione di solidarietà che ha assistito più di settantamila persone, soprattutto vedove e orfani. Testimone autentica dei percorsi di lotta e di rinascita in Africa, tema cui è dedicato il Festival della Pace. È scampata ad uno dei più atroci momenti di guerra fratricida del continente, i terribili cento giorni fra aprile e luglio del 1994, con i massacri compiuti dagli hutu contro i tutsi.
La sua famiglia è stata decimata, ma lei non ha voluto cadere nel tranello della vendetta ed è diventata protagonista del faticoso percorso di riconciliazione. Non era facile in un Paese dilaniato, con un milione di morti trucidati e 250 mila vittime di stupri e violenze.
Mukasarasi sarà la protagonista, venerdì 8 novembre alle 17 nel salone Vanvitelliano della Loggia, a Brescia, della cerimonia di apertura del Festival della Pace 2024 promosso dal Comune di Brescia che quest’anno, alla sua settima edizione, sarà dedicato all’Africa (programma completo su: festivaldellapace.it). L’attivista parteciperà alla tavola rotonda condotta dalla giornalista e scrittrice Anna Pozzi in dialogo con Mohamed Ba, scrittore e drammaturgo di origine senegalese.
Sarà inoltre ospite sabato 9 novembre alle 17 nell’auditorium Santa Giulia di via Piamarta 4 del convegno promosso dal Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Brescia Musei, Acli provinciali e Fondazione Museke sul tema «Africa: percorsi di lotta e di rinascita». Con lei interverranno Anna Pozzi, Blessing Okoedion e l’artista Khalid Albaih. L’ingresso è libero.
Mukasarasi, infine, incontrerà gli studenti bresciani l’11 e il 12 novembre e terrà una conferenza a Castenedolo, lunedì 11 novembre alle 20.30 nella Sala dei Disciplini, sul genocidio di trenta anni fa in Ruanda. L’abbiamo intervistata.
Godeliève Mukasarasi, a trent’anni da quelle atrocità, quali risultati sono stati raggiunti sulla via della riconciliazione? E come?
Attualmente, oltre il 98% dei ruandesi si considera ruandese prima di qualsiasi altra identità. Questo ci ricorda che prima della colonizzazione, tutti i cittadini del Ruanda credevano di condividere la stessa identità. Ma questa è stata distrutta da politiche divisive che hanno rafforzato le piccole identità, distruggendo l’identità nazionale. Grazie ai numerosi sforzi messi in atto, i ruandesi hanno oggi riscoperto l’orgoglio della loro comune appartenenza, il che implica che hanno ampiamente superato le tendenze a considerare se stessi e gli altri da prospettive hutu, tutsi o twa. La riconciliazione è vista anche come un approccio diverso al pensiero delle comunità in cui le persone sono state vittime di violenze su larga scala e violazioni dei diritti umani, al fine di ripristinare la fiducia reciproca e la cooperazione. Integra la giustizia retributiva, che enfatizza l’idea di punire i colpevoli ritenendoli responsabili dei loro atti disumani. La riconciliazione è dinamica: i vecchi avversari si muovono lentamente nella costruzione di nuove relazioni, aprendo così la strada alla costruzione di una nuova comunità. È un processo a lungo termine, profondo e ampio, attraverso il quale una società transita da un passato diviso a un futuro condiviso. Non è un cammino che si può fare da un giorno all’altro. Le persone traumatizzate guariscono a piccoli passi. Educare chi ha accumulato odio in decenni richiede molto impegno e tempo. Questo è avvenuto attraverso alcuni momenti fondamentali. Innanzitutto la giustizia come base della riconciliazione. La pietra angolare di questo sistema poggia sulla giurisdizione popolare, chiamata «Gacaca», per stabilire la verità su genocidio e massacri. Sono serviti una volontà politica per la promozione dell’unità, la correzione delle pratiche discriminatorie, l’assistenza ai superstiti, il ritorno in patria dei rifugiati, un dialogo nazionale e un patto sociale.
Quali ferite sono rimaste aperte?
Il consolidamento dell’unità urta ancora con le conseguenze del genocidio. Ci sono rifugiati che non vogliono tornare. L’idea del genocidio e della divisione resiste ancora. L’insicurezza della regione dei Grandi laghi costituisce un handicap perché ci sono ancora gruppi armati ruandesi.
Le donne sono i pilastri della società africana e sono state protagoniste anche in questo cammino, come?
Durante il conflitto hanno trovato rifugio nascondendosi, hanno protetto i bambini, hanno portato aiuto. Hanno lottato perché venisse riconosciuta la violazione dei loro diritti, nelle giurisdizioni Gacaca, come nel Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda ad Arusha. Hanno partecipato attivamente a sessioni di autoguarigione dal trauma per aiutare le loro sorelle attraverso spazi di ascolto e riconciliazione in gruppi di auto-aiuto e solidarietà. Sono state protagoniste nella ricostruzione del Paese e negli accordi di pace. Hanno creato organizzazioni come la nostra Sevota, che opera per una società in cui la dignità umana sia valorizzata, in cui uomini, donne e bambini si aiutino a vicenda. La nostra missione è promuovere la pace, l’unità e i diritti umani.
Si parla sempre più spesso di tratta di esseri umani. C’è una nuova forma di schiavitù in Africa?
Si tratta delle diverse forme di schiavitù moderna, dello sfruttamento sessuale, prostituzione e pornografia infantile, dello sfruttamento del lavoro, della schiavitù domestica generata dalla povertà, dalla violenza e dall’isolamento. È difficile trovare giustizia ed è inadeguata l’assistenza alle vittime.
Come giudica l’atteggiamento dell’Europa? E cosa potrebbe fare per l’Africa?
L’azione dell’Europa in termini di riconciliazione consiste in misure di mediazione e di partenariato a livello internazionale e nazionale. Il sostegno allo sviluppo psicologico e socio-economico da parte di esperti dei Paesi europei, la prevenzione e la lotta contro la povertà attraverso politiche chiare... Questo potrebbe fare dell’Africa un continente di pace e sviluppo.
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